C’è la crew, ci sono i colori, i richiami agli Anni 80 e ’90, gli spot da proteggere… E poi ci sono testa e adrenalina che danzano a braccetto in discesa ai 60 all’ora su una tavola stretta e lunga. Benvenuti nel mondo caleidoscopico dei longboarders italiani di Sbanda Brianza. Abbiamo fatto due chiacchiere con Matteo Dell’Orto, che da 15 anni si impegna per far crescere il longboard come sport e stile di vita ad alto tasso di sostenibilità nel nostro Paese.
Matte, tu e la crew siete cromaticamente bellissimi…
“Noi usiamo molto i colori: tanti scelgono il nero come dress code. Noi no. Siamo molto legati alla cultura Anni 90, il nostro abbigliamento si rifà alle grafiche e alle cromie delle tavole da skate di quegli anni. Tanti di noi arrivano da quella cultura. Le prime tavole che ci siamo trovati a maneggiare da piccoli sono quelle di fine anni 80 inizio anni 90. Questo imprinting ci ha seguito per tutta la vita. Anzi, è diventato uno stile di vita. Abbiamo tutti dai 25 ai 40 anni e continuiamo a ricercare proprio quei ricordi. Non siamo più teenagers, ma chi vive questa passione in modo autentico la mantiene nel tempo. Nel corso degli anni la Crew si è evoluta, c’è chi è arrivato facendo lo spaccone e dopo qualche anno è sparito. Poi ci siamo noi. Se hai quel qualcosa dentro, bè… ti resta”.
Chi smette, perché smette? Troppi lividi?
“Alcuni approcciano il longboard come una sfida verso gli altri. Poi magari i risultati non arrivano e a quel punto si allontanano. Noi la vediamo da un altro punto di vista. È qualcosa che facciamo per noi stessi. Vogliamo essere riders. Cerchi proprio quello, quell’emozione, a prescindere dai risultati o dal livello che ognuno di noi raggiunge. Questa per noi è un’esigenza: l’esigenza di voler andare. Sulla tavola, sullo snow, sul surf magari, ma anche negli sport legati a un motore. Tu VUOI andare. Ognuno ha il proprio stile, certo, ma la spinta è la stessa.

Mentre vai, sei libero.
Stai facendo quello, sei nel qui e ora. Punto. Non pensi a nient’altro. Subentra l’adrenalina legata all’azione. Poi cerchi la soddisfazione del gesto: la frenata, la slide… Sei sempre alla ricerca della perfezione sulla linea. Questa attitudine ha tantissimo a che fare col controllo. Sei tu che agisci sulla tavola, non puoi sgarrare. La tavola non perdona. È sotto i tuoi piedi, quindi tutto ciò che succede, di bello o di brutto, è solo “colpa” tua. È uno strano connubio tra uno stile di vita strettamente legato alla ricerca della libertà e un profondo senso di responsabilità. Sembra un controsenso, ma alla fine si tratta della libertà dell’avere il pieno controllo di quello che stai facendo, ecco. Puoi scegliere se osare, se rischiare oppure no. Il massimo della libertà decisionale, insomma”.
E in gara cosa conta di più, testa o adrenalina?
“In gara hai un regolamento, indispensabile per garantire a tutti la massima sicurezza e il rispetto di tutti gli atleti. Tanti rider subiscono la pressione della regola in gara: devono stare più attenti alle linee, magari non possono entrare come vorrebbero quando devono superare qualcuno in un tornante… Insomma, devono adeguarsi a un “codice” imposto, pena la squalifica. Dosare testa e adrenalina non è facile per tutti. In gara invece la testa è essenziale. Certo, senza l’adrenalina magari non oseresti il sorpasso che ti può portare davanti… Diciamo che in generale nel longboard l’adrenalina gioca un ruolo importantissimo”.

Il longboard ha qualche punto in comune con il surf?
“Ci sono similitudini un po’ in tutti gli sport da tavola. Io, ad esempio, arrivo dallo snowboard e vedo tantissimi punti in comune: il longboard sembra un po’ lo snow portato sull’asfalto. Il surf è simile non tanto come attività in sé, quanto come filosofia: è importante non “bruciare” lo spot, ad esempio. Bisogna stare attenti a dove si va, alle strade percorribili, non essere mai in troppi e mantenere buoni rapporti di “vicinato”. Se uno spot è buono, cerchi di tutelarlo in ogni modo possibile”.
Ma il Longboard Downhill in Italia è legale?
“Sai, parlando di regolamenti, a lato pratico il longboard è uno sport illegale ovunque nel mondo, non solo in Italia. Non c’è nessuno spot in cui sia dichiaratamente ammesso l’uso della tavola. Tranne il nostro. Il nostro è riconosciuto ufficialmente. Ma a parte il nostro spot e al di fuori degli eventi ufficiali, durante i quali la strada viene chiusa e hai un’ordinanza del comune tra le mani, si tratta di uno sport a tutti gli effetti illegale”.

Quindi siete fuorilegge legalizzati…
“Sbanda Brianza è un’ASD (Associazione Sportiva Dilettantistica). Ci siamo affiliati alla FISR (Federazione Italiana Sport Rotellistici) che è la federazione di riferimento per lo skateboard. Sotto la FISR ci sono tutti gli sport a rotelle: pattini, hockey su pattini, freestyle, pattinaggio artistico… Il settore skate è suddiviso in Street, Park e Downhill. E noi facciamo parte del Longboard Downhill. Facciamo anche i corsi di skate per i bambini, tra l’altro. La federazione negli ultimi anni è cresciuta tantissimo, soprattutto da quando lo Skate è stato introdotto tra le discipline Olimpiche. Lì c’è stato un boom e le persone hanno iniziato a riconoscerlo come sport a tutti gli effetti. Prima nell’immaginario collettivo la tavola era quasi un giocattolo. Eri quello “che andava in giro in skateboard”. Ti sentivi dire “a 35 anni sei ancora lì che vai in giro con ‘sti cosi”… Adesso invece è uno sport. Come il calcio. E che uno giochi a calcio a 35 anni non fa strano a nessuno, no?
Ci sono anche gli skater old school, comunque, quelli più legati alla cultura skate in senso stretto, che vedono la tavola ancor più come uno stile di vita. Sono fedeli alla golden age della cultura skate, ai primi Anni 80, quando in pratica è nato lo skate moderno anche a livello stilistico e tecnologico”.
Le vostre tavole sono pezzi d’arte…
“Il processo di valorizzazione delle tavole è iniziato proprio lì: sono diventate coloratissime e si ispiravano ai graffiti che le bande di strada californiane realizzavano per segnare il proprio territorio e farsi riconoscere. Ecco, tutti i disegni riportati sulle tavole di quel periodo derivano da questo fenomeno. E da qui poi lo skateboard è diventato a tutti gli effetti un oggetto di marketing. Si faceva proprio a gara a chi aveva la grafica più assurda. Nomi come come Madrid Skateboards, nato nel 1976, Alva (1977) o Powell-Peralta (1978), sono diventati top brand in quel momento. Più tardi, parliamo di Anni 90, si è svegliata l’Europa: sono arrivate le Blind, le francesi Clichè… Oggi abbiamo tantissimi brand italiani, ZERO31 ad esempio. Nel longboard la maggioranza dei produttori sono artigiani. Nello skate invece ci sono realtà più strutturate, tipo Futura. Questo perché lo skate è più distribuito. In Italia il longboard ha avuto un picco di notorietà una quindicina d’anni fa, anche grazie all’applicazione di una serie di soluzioni tecniche che hanno reso le tavole più efficaci, lunghe, robuste, con concave molto accentuati… Stessa cosa per le ruote e i track: quelli che utilizziamo ancora oggi vengono da lì e sono più snodati di quelli dello skate tradizionale. I track sono un aspetto cruciale. Sono stati determinanti per l’evoluzione dello skateboard in discesa e poi del longboard. E quindi anche per la nascita della nostra realtà”.

Ma tu quando hai iniziato?
“Ho iniziato 15 anni fa. All’inizio non sapevamo niente, abbiamo impiegato i primi 5 anni a imparare una slide, una frenata. Arrivavo a casa con i pantaloni distrutti, coperto di lividi. Poi sono iniziati gli eventi. Andavi e ti confrontavi con gli altri, imparavi, riuscivi a capire che potevi spingere un po’ di più stando dietro agli altri. Da lì è partito tutto: lo spot, la crew che cresce, l’appuntamento fisso al sabato. E così è iniziata l’avventura di Sbanda Brianza come associazione”.
L’abbigliamento tecnico è mutuato da altri sport?
“Nel Longboard Downhill all’inizio tantissimi usavano la tuta da moto, che però era parecchio scomoda perché è pensata per una posizione diversa: noi siamo quasi sempre accovacciati sulla tavola. Poi alcuni produttori hanno iniziato a guardare anche a questa nicchia di mercato adeguando le tute tradizionali alle nostre esigenze e alla nostra postura. Oggi siamo sui 300 euro per una tuta personalizzata. Il paraschiena, invece, è proprio quello da moto, è il più utilizzato. Ma per iniziare basta farsi cucire una toppa di cuoio sul culo. E poi ci sono i caschi: TSG produce caschi specifici per il longboard downhill, ad esempio”

Il longboard è uno sport da ricchi?
“La dinamica è la stessa della moto: una moto può costare relativamente poco, andare una volta in pista può costare relativamente poco. Ma se inizi a fare sul serio, allora è un altro film. Nel longboard è uguale, con le dovute proporzioni. Un track base costa 80 euro, ma un track precision ne costa 600. Cambiare un set di gomme ti costa tra i 60 e gli 80 euro: per fare freeride usi quelle gomme finché non le consumi completamente. Anzi, cerchi di consumarle perché fa figo portarle al core. Ma in gara la gomma dev’essere sempre nuova: più è nuova e più grippi. E poi viaggi tanto. Quindi o hai uno sponsor o è tutto a tue spese”.
Perché il longboard non è mainstream?
“Perché la gente lo vede come uno sport estremo. E in effetti all’inizio per imparare si cade. Niente da dire. Ma oggi non è come 15 anni fa, quando ho iniziato. Oggi è tutto molto più facile. Noi abbiamo messo a punto un metodo d’insegnamento che ti porta in breve tempo a un buon livello, in poche lezioni fai downhill. Quando abbiamo iniziato noi, non sapevamo cosa stavamo facendo. Ora lo sappiamo perfettamente e sappiamo come insegnarlo agli altri”.

Una persona che non ha mai messo piede su una tavola può imparare?
“Teniamo i corsi di downhill a Consonno, ma il corso base inizia in piano perché c’è una propedeutica che ti insegna ad abbassarti e a muoverti sulla tavola nel modo giusto. Sono le stesse posizioni che poi serviranno nel downhill. A quel punto si passa alle prime discese e lì l’obiettivo è insegnare subito la frenata, ovviamente. Una volta acquisita quella, in automatico gli allievi prendono sicurezza e aumentano progressivamente la velocità. Si va avanti con frenata frontside e backside, poi migliori la conduzione in rettilineo e poi è tutta pratica. I bimbi, invece, li facciamo iniziare in piano e con la tavola da skate, che è più piccola e maneggevole. Attualmente abbiamo corsi in più location a Milano, e poi a Seregno, Olginate e Como. Per ora…”.
Quindi ora l’appuntamento è al Ghost Town?
“Il Ghost Town è l’evento che organizziamo noi direttamente ogni anno a Consonno. Quest’anno sarà il 18/19 Giugno 2022. L’abbiamo cucito su di noi. Per anni abbiamo frequentato eventi dicendo “però manca questo, manca quello… Bella la strada, ma alla sera cheppalle… manca la musica…”. Insomma, da qui è partita l’idea di Ghost Town, che è prima di tutto un evento aperto a chiunque, non solo a chi fa longboard. C’è musica, ci sono le band, si fa festa, la location è pazzesca. Pensa, le band suonano all’interno di un tornante lungo la strada sulla quale si scende. Tu sai che al secondo tornante avrai 300 persone che ti incitano e la band che fa casino. E ti gasi davvero tanto. La sera la festa è gigantesca. I rider arrivano da tutto il mondo, è una data riconosciuta a livello internazionale. Un paio dei nostri ci sono rimasti male una volta: hanno visto un video in cui c’erano due rider australiani che parlavano di Ghost Town come dell’evento di freeride più figo al mondo. Ma ci puoi credere?”.