Vediamo, da dove inizio? Dalla nuova GS 1300? Nah, troppo facile (e poi ve ne parleremo in modo più approfondito nelle prossime settimane, quindi stay tuned). Da Triumph che torna all’offroad vero con un cross sviluppato da Ivan Cervantes e Ricky “The GOAT” Carmichael? Ok già meglio, ammetto che quando ho visto le prime immagini a momenti cadevo dalla sedia. Da Ducati, che se ne esce con un nuovo bombardone mono da Motard e che entra a gamba tesa nel motocross con quella leggenda di Tonino Cairoli? Ecco, questa è una di quelle notizie da edizione speciale del telegiornale.

E poi ci sono KTM che è tornata ad Eicma, la Kove Rally che promette di spaccare il mercato, Honda che mette una ruota da 19” sull’Africa Twin (per me è un sacrilegio, comunque…) e via dicendo… Sì ok, tutto nuovo, inusuale, fuori schema, per certi versi rivoluzionario. Ma c’è un’altra immagine che mi ronza in testa in questo post-fiera.

Appena l’ho vista ho pensato “cazzochefigatapazzesca”! E ha a che fare con le domeniche pomeriggio degli Anni 80 e 90 passate davanti alla TV a guardare i gran premi della 500cc, ad ammirare estasiato le sfide infuocate di quella che era la vera classe regina: moto scorbutiche, potentissime, con regimi di rotazione da iperspazio, 2 tempi, zero elettronica, piloti che si attaccavano ai freni e staccavano solo quando vedevano apparire la Madonna. Doohan, Schwantz, Rainey, Lawson, Mamola. La Honda con i colori HRC, la Cagiva tutta rossa, la Suzuki con la livrea Lucky Strike.

E la Yamaha bianca e rossa con le tabelle gialle.

Tranquilli, stavolta non vi triturerò le parti basse con le solite storie sulla nostalgia dei bei tempi andati, di adolescenti pruriginosi, modelle, motorini, eccetera. Oggi vi parlo di una novità, di una vera instant classic, di una moto che è già nata icona. Perché c’è chi per creare qualcosa di veramente nuovo ha paradossalmente guardato al passato, a quelle mitiche moto che mi facevano sognare la domenica pomeriggio. Non vi ho detto di chi sto parlando. Ma lo avete già capito, no? Lei è la nuova Yamaha XSR900 GP e si ispira nientemeno che alle leggendarie moto degli anni d’oro del motomondiale.

I ragazzi di Faster Sons (il programma nato per rilanciare le Sport Heritage della casa di Iwata) hanno creato un vero e proprio capolavoro. Arte in movimento. La piattaforma super collaudata è quella appunto della XSR900, una naked moderna, sicura, efficace e di successo, con un ottimo motore, il vivace CP3 che muove anche l’MT-09, qui portato a 119 cv, con quel sound bello ignorante e quell’erogazione che solo un tre cilindri può regalare.

Ovviamente a livello di tecnologia non manca niente: piattaforma IMU a 6 assi mutuata direttamente dalla R1 che controlla trazione, ABS e sistema di controllo dello slittamento della ruota posteriore. La possibilità di personalizzare l’esperienza di guida a seconda delle preferenze del pilota e delle condizioni stradali tramite l’YRC, Yamaha Ride Control, con 3 mappe selezionabili (Sport, Street, Rain) e impostazione Custom. Il cambio elettronico con Quick Shifter sia in accelerazione che in scalata, la frizione antisaltellamento, il cruise control.

A livello ciclistico fanno bella mostra di sé il telaio Deltabox (sì proprio lui, quello che c’era anche sulla FZR e su tutte le supersportive Yamaha dagli Anni 80 in poi) e le sospensioni regolabili Kayaba, ormai dotazione standard da queste parti.

Fin qui tutto bene, tutto bello perfettino, come da tradizione nipponica insomma. Ma dov’è la genialata allora? Dov’è il punto di rottura? La novità? Ebbene, è qui che i teppisti di Yama hanno fatto la mandrakata.

L’hanno vestita con una carenatura leggera, minimalista, fissata con D-Ring come le moto da gara, con un fantastico cupolino che poggia su un supporto tubolare che fa tanto racing old school (da notare il minuscolo faretto led che quasi non si vede) e quel codino squadrato che sembra arrivare direttamente dal passato, con tanto di supporto per le vostre nobili chiappe. Ovviamente la cover è rimovibile e rivela il sellino del passeggero. Ma resti tra noi, non la toglierei nemmeno se a chiedermi di salire dietro fosse Margot Robbie. Vabbè ok, ho scritto una cazzata, in quel caso forse uno strappo lo farei. Ma ho reso l’idea no?

Due le versioni cromatiche previste. Una in nero e grigio, elegante, cupa, starebbe benissimo in un remake di Black Rain ambientato nelle fosche notti di Tokyo o nel nuovo chapter di John Wick. E poi l’altra, quella che mi fa veramente chiudere la fottutissima vena. Quella livrea è poesia pura, talmente riconoscibile che se ci mettete il culo sopra, spalancate il gas e chiudete gli occhi vi immaginate di sfidare Schwantz o Doohan all’ultima curva di Suzuka. PAZZESCA. Bianca e rossa, con le tabelle portanumero gialle, è figlia delle gloriose YZR del team Roberts che combattevano e vincevano nella classe 500 con Eddie “Steady” Lawson e Wayne Rainey. Trasuda racing heritage dalla prima all’ultima vite.

In sostanza stiamo parlando di una vera special fatta e finita, di quelle che eravamo abituati a vedere nell’atelier di qualche blasonato preparatore o agli eventi di settore. Beh, adesso la vedremo nelle concessionarie e scommetto che le novità non finiranno qui. Ora il problema sarà solo decidere se farla danzare tra le curve, sfoggiarla con malcelata spocchia davanti al bar dell’aperitivo o ammirarla nel soggiorno di casa.

E brava Yamaha.