«Non c’è niente che ci possa fermare, non può farlo nemmeno un brutto evento che sembra mandare all’aria la vita. Hai un ostacolo? Superalo e tira avanti: è il modo migliore per godersela».

Quella che sembra la frase tratta da uno degli innumerevoli manuali motivazionali che affollano gli scaffali delle librerie – i libri in cui ti insegnano a vivere da aquile e non da pulcini – in realtà è il segno di una rinascita. Di un vero e proprio ritorno alla vita. Diversa, meno docile e più arcigna rispetto a prima. Ma comunque vita, carica di quelle possibilità che solo il viaggio, con le sue affascinanti incognite, è in grado di offrire.

L’autore della frase si chiama Jonathan Kevin Duca, ma la rete lo conosce come Jonni grazie al suo profilo Instagram: @travel.with.my.cat. Il “cat” si chiama Jek, unione dei due nomi del suo proprietario. E Jonni porta Jek in giro per mezzo mondo a bordo di un fuoristrada. Dietro i segni delle ruote – lasciati su asfalto, terra, sabbia e fango – procedono circa 112mila follower, che sostengono i due viaggiatori anche attraverso le donazioni e l’e-commerce del sito dedicato. Ma per capire davvero questa avventura, la scelta di questo stile di vita dobbiamo tornare al 2014.

«L’anno dell’incidente, avvenuto in maggio. Guidavo una Peugeot 206. Ne sono uscito con i femori e il polso fratturati, ma soprattutto con il cranio a pezzi. In coma, ovviamente: ci sono rimasto un mese». Jonathan racconta con calma l’evento che tuttora lo scuote, malgrado tutto. «Io sto bene, riesco a superare le difficoltà. Che però ci sono, non posso negarlo – spiega –. Ho la fortuna di non avere problemi motori e di non avere deficit, ma a livello psicologico l’impatto resta, e non è di poco conto. E poi c’è la memoria, che non è più quella di prima, e ci sono i continui mal di testa…». 

A vedere le foto della Peugeot sul sito non si può non chiedersi quale forza lo abbia tenuto a questo mondo, anche se allora – come si dice – era più di là che di qua. «I medici mi avevano dato per morto al 93%, e devo ringraziare i miei fratelli che hanno autorizzato l’operazione». I segni del bisturi – e del destino – sulla testa di Jonathan sono evidenti; cicatrici come tatuaggi sul corpo di un ragazzo di 19 anni (tanti ne aveva allora) che dopo un mese di buio si risveglia in ospedale e deve imparare di nuovo a vivere. «Ricordo distintamente di aver visto una luce in fondo al tunnel. Che cliché, vero? Ma soprattutto ricordo le persone in ospedale, che avevano subito interventi pesanti come il mio. Beh, vedevano tutto nero. Nessun futuro. Da loro ho tratto la forza per cambiare quella visione e tornare a vivere».

La porta sulla vita si riapre tre anni più tardi, con il primo viaggio. Jonathan si muove prudente, affidandosi ad un’agenzia. Ma soprattutto, a un’auto diversa. «Una Toyota HZJ 90, che però si è rivelata un po’ piccola, così l’ho cambiata subito, sempre per un’altra Toyota, un Land Cruiser HJZ 78. Per me è la miglior auto in assoluto per viaggiare. E quando arrivo da qualche parte, mi guardano sempre con una certa ammirazione». 

A bordo con lui, c’è Jek. Il gatto. Anche questa è la storia di un cambiamento. «Io i gatti non li ho mai amati – racconta –. Ma la situazione era questa: due anni di interventi al cranio, rimozione dell’opercolo destro, insomma non avevo più mezza testa. Vivevo da solo, la depressione era alle porte. Così gli amici hanno pensato alla soluzione più semplice ed efficace: regalarmi un cucciolo, ma di cane. Ed era un problema, dovevo portarlo fuori e non ci riuscivo. E allora è arrivato un gatto». 

Da allora Jonni & Jek sono inseparabili e passano gran parte del loro tempo a bordo della Toyota camperizzata per scoprire il mondo e suonare il loro “ostinato” sul ritmo della tenacia e della fiducia. Nemmeno la pandemia li ha frenati troppo: Jonathan, svizzero di Locarno, ha vissuto restrizioni più lasche rispetto a quelle dell’Italia e ha girato anche quando sulle strade si era davvero in pochi. La ricetta è semplice: si sceglie una meta e si va.

«Non amo pianificare, improvviso molto. Per esempio, non pensavo minimamente che avrei visto un’aurora boreale. E invece è accaduto, ed è una cosa che mi rimarrà dentro per sempre». Quello spettacolo è stato il culmine di un viaggio con il quale ha infilato, a mo’ di ago nel tessuto, Paesi europei uno via l’altro. Tra luglio e ottobre del 2021, per arrivare a Capo Nord e tornare a casa, ha messo insieme Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Estonia, Repubblica Ceca, ancora Germania e poi casa sua.

«Ma sono stato anche in Grecia, in Portogallo, in Spagna. E ovviamente da voi, in Italia. E soprattutto in Africa: Marocco, Tunisia, Algeria. Adoro quella zona, ne amo il clima che mi aiuta, viste tutte le fratture che ho subito. Ed è bellissimo infilarsi nelle dune con il fuoristrada». Anche se rischi di restarci dentro. «Sì, mi è capitato in Marocco, nell’Erg Chebbe, al confine con l’Algeria. A quel punto devi ingegnarti. Io avevo i miei strumenti, il verricello, le piastre da sabbia, e alla fine mi sono anche divertito a risolvere un bel problema, perché intorno a me c’erano solo le dune».

La magia del viaggio è un segreto che Jonathan ama coltivare in solitaria. I chilometri lo portano giocoforza a incontrare persone, ma senza indulgere in eccessiva socialità: «Soprattutto nei primi viaggi stavo molto per fatti miei, avevo bisogno di dedicare tempo a me stesso e di mettere a fuoco la situazione per superare le difficoltà».

Che, come diceva, restano. «Sì, ma non puoi perdere tempo ad avere paura: i problemi vanno affrontati. Io non so come andrà, non posso saperlo: sono ancora adesso in cura, stiamo cercando con i medici il modo di alleviare il mal di testa. Nonostante questo, voglio andare avanti, continuare a stare bene e cercare il meglio per me (e per Jek), pur essendo consapevole di quanto sia difficile».