Ho fatto un sogno fatto di country rock, whiskey che ti raschia la gola e polvere sui vestiti. Ad un certo punto al bancone di un bar Johnny Cash impugnava la sua chitarra, nera come il petrolio del Texas e cominciava a suonare qualcosa, accompagnato da una voce che resusciterebbe anche i morti. “Don’t know that I will/ but until I can find me/A girl who’ll stay and won’t play games behind me. I’ll be what I am/ A solitary man/Solitary man”. Un solitary man, un cowboy perso dentro i fatti suoi.

Se ti ci vuoi immergere, basta un play qui sotto.

Insomma, poi il sogno si faceva confuso. C’era John Bon Jovi che diceva qualcosa a proposito di un “ricercato vivo o morto” mentre cavalcava il suo cavallo d’acciaio verso l’infinito e oltre. “I’m a cowboy/On a steel horse I ride/I’m wanted dead or alive/Wanted dead or alive”. Ok John, farò finta di non averti visto, di me ti puoi fidare. Siamo dalla stessa parte e lo sceriffo non ti avrà mai. Dovessi mai incrociarlo, piuttosto che tradirti mi faccio mettere ai lavori forzati.

C’era anche Kelly Reilly nel sogno, la Beth Dutton della serie Yellowstone e c’era anche una tinozza piena d’acqua calda, all’aperto in un ranch del Montana. C’era il silenzio dei boschi, c’erano i cavalli che correvano sulla collina e c’era una pista da rodeo sullo sfondo. I vestiti, no, quelli non c’erano più da un pezzo. Una chitarra resofonica a fare da colonna sonora, un pezzo qualsiasi di Willie Nelson, prima. Uno qualsiasi dei Poison, durante. E ancora quel rock dal sapore country che questa volta recitava Lay your hands on me. Forse non era Kelly, nemmeno l’ho mai conosciuta una Kelly, io.

I texani che ha indossato per andarsene, però, quelli me li ricordo bene e le stavano da dio.

Sento ancora il sapore di quella pelle e il rumore delle suole che quegli stivali facevano sulla ghiaia. Lo sento ogni volta che in macchina ascolto Knockin’ on Heaven’s door, con Bob Dylan alle prese con la colonna sonora di Pat Garret e Billy The Kid, uno dei film più belli della storia. Ecco, forse nel sogno ero proprio Billy The Kid, romantico fuorilegge dagli stivali impolverati e dal grilletto veloce. Forse invece ero proprio Johnny Cash, ma con la sua voce da vecchio.

Forse ero un lavoratore stagionale qualunque che saltava di campagna in campagna e di allevamento in allevamento per guadagnarsi da vivere. Una tasca piena di demoni e l’altra di tabacco. Una chitarra allacciata alla sella. Di un cavallo ieri, di una moto oggi, non saprei. Forse ero solamente un tizio cresciuto ascoltando quel rock a stelle e strisce che suona come un cappello da cowboy, indossa denim come non ci fosse un domani e pelle a profusione.

Alla fine, mi sono svegliato. Ho indossato i miei stivali. Ho sputato quella sensazione di polvere e sudore che mi era rimasta in bocca e sono sceso per strada. Milano Est, lontano anni luce dal Montana e dal Texas. Ma tanto lo so: prima o poi quella tinozza la ritrovo anche qui attorno.

L’amicizia tra Billy the Kid, secondo a sinistra e Pat Garrett, lo sceriffo che lo uccise, tutto a destra, in una foto originale dell’epoca. Foto Frank Abrams