Troppo veloce per quella cosa chiamata amore. Troppo veloce per pensare prima di mettere in moto qualunque tipo di passione. Troppo dannatamente e meravigliosamente veloce. Che sia una macchina, una moto o in generale uno stile di vita, la velocità l’ha sempre fatta da padrona nell’immaginario collettivo del rock’n’roll.
Vite veloci, spesso anche troppo visti i risultati, ma tutte spese all’insegna della velocità dell’adrenalina e dell’eccesso.
“Living on a jet, Making love to someone else’s dreams. Say it again, She puts her leg up. Well, calls it good luck. Do you know what I mean. Do you remember. Well, I remember”.

Eccome se me lo ricordo. Perché i Mötley Crüe la sapevano lunga, lunghissima, in fatto di velocità. Harley Davidson lanciate sul Sunset Boulevard, scazzottate memorabili, sesso, trasgressione che se ne frega in generale e tutto quello che potrebbe rientrare nella trama di un film sul rock californiano degli anni Ottanta. I Mötley Crüe sono tutto questo.
Let the music play e ascoltate il resto della storia…
Le gesta di Nikki Sixx, Tommy Lee, Mick Mars e Vince Neil in effetti ci sono poi anche finite in un film. Si intitola The Dirt: Mötley Crüe e racconta la storia dei quattro teppisti geniali a colpi di look fantasmagorici, fuochi d’artificio e sregolatezze varie (con l’aggiunta di un’altra serie di personaggi del calibro di Ozzy Osbourne e altre variegate e piccanti presenze femminili). Memorabile, rovente e bellissimo. Rallentate solo un paio d’ore e guardatelo.

Ma la velocità dei Crüe, anzi, della loro ascesa (perché la carriera procede tutt’ora nonostante il ritiro di Mars) è però solo una faccia della velocità del rock’n’roll di ogni epoca.
Sono veloci anche gli amori del rock’n’roll. Amori al limitatore, necessità totali, passioni divoranti e dalle sorti più o meno nefaste, come quelli di Jim e Pam o di Kurt e Courtney. Poi sì, c’è anche quello di Tommy Lee di cui sopra e di quell’altra Pam (Anderson, lo sapete). La lista è lunga.
C’è tutta una discografia che infila il rock’n’roll nel mondo delle corse su quattro ruote, preferibilmente clandestine, non ci sarebbe nemmeno da dirlo. Corse senza logica, regole e misura, all’insegna del chi si ferma è perduto. O perlomeno non saprà mai quello che si è perso. Spesso sono scene da un’autostrada che porta direttamente all’inferno, come i rettilinei della Highway to Hell degli Ac/Dc.
“No stop signs, Speed limit. Nobody’s gonna slow me down, Like a wheel, Gonna spin it. Nobody’s gonna mess me around… I’m on the highway to hell”.

Too fast for love, quindi, non ce lo dimentichiamo mai. La vita in corsia di sorpasso è vita. Piace, intriga, te la puoi scrivere come ti pare, salvo disastri. Te la puoi anche inventare e sentirla lo stesso vera che ti pulsa nelle vene, ad un passo dall’infarto e ad un altro dall’orgasmo (del rock’n’roll).
“Life in the fast lane, Surely make you lose your mind” per dirla al modo degli Eagles. Un sorpasso ben fatto, quello che ti dà soddisfazione e che ti ricorderai finché campi. Anche perché, poi, il momento in cui rallenti, cominci a guardarti intorno, prendi fiato dopo aver sudato come un matto e vedi un po’ chi o cosa NON ti sei perso nella polvere e nel gas di scarico, te lo godi il doppio.

Lo dice anche Springsteen, in fondo. “Drive fast, fall hard, keep me in your heart/don’t worry about tomorrow, don’t mind the scars”. Anche se poi le ferite, di ogni genere, lasciano il segno anche quando non te ne accorgi. Eccome se lo lasciano. “Ho dell’acciaio nella gamba, ma almeno cammino fino a casa, anche se la fatica comincia a farsi sentire”. Ok, drive fast. Ancora. E vediamo fino a dove si arriva.