C’è un immaginario epico e variopinto che ruota attorno al mondo degli stuntman. Ed è esteticamente molto affascinante, quasi ipnotico. Sapete cosa succede alle suggestioni ipnotiche di questo tipo? Che spesso si elevano a tema portante di qualche cult cinematografico. Pellicole che, per meriti riconosciuti o clamorosi flop al botteghino, diventano iconiche, suggestionando le platee fino a dare origine a vere e proprie derive stilistiche.
Si può dire che, seppur a vario titolo, la storia degli stuntman sia sempre stata connessa al cinema, a partire da tale Frank Hanaway, che nel 1903 ottenne una parte nel film The Great Train Robbery grazie alla sua innata capacità di cadere da cavallo senza fratturarsi ossa in ordine sparso. Negli Anni 50 in Italia c’è Osiride Pevarello, che sostituisce alla carriera circense quella di “cascatore” e maestro d’armi per grande schermo e tv.

Ma è dalla fine degli Anni 60 grazie ai Canadian Hell Drivers (e al loro spettacolo adrenalinico con auto e moto, il primo in Europa) che il fenomeno prende davvero piede per come lo conosciamo ora, legandosi a doppio filo ai motori. Da lì a tutti i Seventies è un crescendo di scuole (francesi e italiane in primis) che si contendono lo scettro di Numeri-Uno-Al-Mondo, mettendo a punto acrobazie e numeri sempre più spettacolari e arditi. In America, intanto, spopola Evel Knievel (potete leggere di lui qui) che nel corso della sua carriera riesce a rompersi ben 433 ossa (nel corpo ne abbiamo in tutto 206, fate pure due conti sui metri di bende da gesso che lo hanno avvolto qua e là negli anni…).
Il cinema, nel frattempo, si accorge del fenomeno da almeno due punti di vista. Innanzitutto, inizia a scritturare questi talentuosi del rischio per girare le scene d’azione più assurde, quelle che praticamente nessun attore (si ok, tranne Steve e pochissimi altri) sarebbe in grado di portare a casa, insieme alla pelle. Ma, soprattutto, registi e sceneggiatori si rendono conto che quello degli stuntmen è un mondo affascinante, fatto di storie a base di vocazione, tradizione e una consistente dose di follia, spesso su base genetica. Insomma, gli stunt fanno il grande salto: da controfigure invisibili a protagonisti (o quantomeno fonti di ispirazione) per storie a metà tra vita, morte, sfida, amori e miracoli assortiti.
Ecco quello che succede: nel 1968 Marcello Baldi dirige Gina Lollobrigida, Marie Dubois, Robert Viharo, Paul Müller, Mimmo Poli e Umberto Raho (sì, lo so che vi siete fermati alla Lollo) in Stuntman, film che racconta le vicende di uno stunt, manco a dirlo, che partecipa a un furto.

Una manciata di anni dopo Richard Rush insieme a Lawrence B. Marcus riadatta il romanzo del 1970 Professione pericolo (The Stunt Man) di Paul Brodeur. Il protagonista è un reduce del Vietnam che diventa stuntman. Rush scrittura nientemeno che Peter O’Toole, tra gli altri, e ne trae una pellicola memorabile che oscilla tra commedia, dramma, satira sociale e azione allo stato puro, aggiudicandosi un Golden Globe per la colonna sonora e tre nomination agli Oscar. Se vi venisse voglia di un po’ di archeologia cinematografica, guardatelo con un occhio allo stile dei protagonisti, in bilico tra lo slim fit Anni 70 e l’estetica gonfia degli 80.
Ma veniamo ai piatti forti: siamo nel 2007 e Quentin Tarantino spara nell’iperspazio del grande schermo Grindhouse, dove uno spietatissimo e piuttosto sfregiato Kurt Russell, nei panni di Stuntman Mike, coinvolge tre “non troppo fortunate” fanciulle in una folle corsa sulla sua Chevrolet modello unico, per poi farle allegramente fuori (non vi spoilero il resto, anche perché non è questo il punto). Il punto è lo stile di Stuntman Mike che, nonostante il clamoroso flop del film, detta tendenza, sdoganando i giubbotti ignifughi e lucidissimi d’ordinanza e rendendoli un must have.
E poi, poco dopo, c’è Ryan Gosling. E con lui arrivano personaggi come Il pilota (Drive, anno 2011) e Luke (The Place Beyond the Pines, Come un Tuono il titolo nostrano, anno 2012). E con loro la stuntmania raggiunge un picco, anche ormonale, clamoroso. Ryan/Il pilota e Ryan/Luke sono draghi assoluti del volante e del manubrio, sono eroi dell’antieroismo, hanno uno stile che si traduce, in sostanza, in un unico outfit per tutta la durata delle rispettive pellicole e hanno un coefficiente sexy da far impallidire qualunque sex symbol Anni 80-90 e 2000. Il bomberino con lo scorpione di Drive e lo sdrucitissimo giubbotto rosso in pelle di Come un Tuono diventano oggetti del desiderio al pari di chi li indossa.
E forse non perdono il primato nemmeno dopo l’uscita di C’era una volta a Hollywood (è sempre Tarantino che torna sull’argomento nel 2019, stavolta con un genere lontano dall’horror e una fortuna decisamente meno avversa). Così noi possiamo goderci un Leo di Caprio di pelle settantosa vestito e un Brad Pitt sfavillante in denim.
Vale la pena citare anche il documentario Disney Stuntman del 2021 dedicato al leggendario Eddie Braun: a fine carriera, in un tripudio di stelle e strisce, decide di tentare l’impresa che il suo eroe d’infanzia Evel Knievel (sì, sempre lui) non è riuscito a compiere, il rocket jump dallo Snake River Canyon che ha quasi ucciso il suo idolo. Oltre all’outfit, chiaramente ispirato a quello del diabolico Knievel, date un’occhiata al suo casco. E ditemi che non lo desiderate anche voi…
Allora ecco i 20 capispalla must have ispirati all’estetica inossidabile degli stunt più iconici del cinema.