Per tanto tempo ho considerato il 1987 un anno un po’ sfigato.

Non che abbia colpe particolari in realtà eh. Non ho memoria di avvenimenti catastrofici o tragedie. L’unico problema che è che si trova tra il 1986, anno in cui il Pibe e la sua banda di desaparecidos (con la gentile collaborazione di Dio) hanno sconfitto le corazzate europee ai mondiali in Messico, e il 1988, quando l’Inter del Trap e dei tedeschi vinceva lo storico scudetto dei record. Due avvenimenti che per un ragazzino interista di 9 anni che viveva per il calcio rappresentavano un po’ due pietre miliari. Ecco, il 1987 ha avuto la sfiga di trovarcisi in mezzo. È stato un anno di transizione e si sa, a nessuno frega un cazzo degli anni di transizione, men che meno ad un pischello di 9 anni. Probabilmente nemmeno Gordon Gekko avrebbe scommesso sul 1987 come miglior orizzonte temporale.

Crescendo, però, ho iniziato ad appassionarmi di musica rock e moto (ok anche di qualcos’altro, ma non divaghiamo, che poi perdo il filo) e ho iniziato a rivalutare quell’anno che consideravo sfigato. Non foss’altro perché tempo dopo ho scoperto che il 1987 ha portato alla luce alcuni tra i miei album rock preferiti, in particolare Appetite for Distraction dei Guns N’Roses (quello di Welcome To The Jungle, Nightrain, Sweet Child O’ Mine e Paradise City). E poi The Joshua Tree degli U2 con le strepitose Where The Street Have No Name e With or Without You. O Kick degli INXS del mai dimenticato Michael Hutchence.

Insomma dai, alla fine male male non è andata quell’annata.

E le moto??? Beh, anche qui, a ben guardare, il 1987 ci ha regalato belle sorprese. Basti pensare che all’Eicma di quell’anno (ricorreva il 50° della manifestazione, ndr) furono presentate, tra le altre, la Yamaha Fj 1200, le Honda VFR 750 F e R, la Suzuki GSX-R 750, la Honda NSR 125R, l’Aprilia 125 AF1 Replica, l’Aprilia Tuareg 600 Wind e la BMW GS 80 e 100, la Suzuki DR 750 BIG e la Yamaha XT 600 Ténéré. E poi dei veri capolavori come la Ducati 851, la Honda NXR 650 Africa Twin e la Yama FZR 1000.

Ma, un po’ per sano orgoglio veneto, un po’ perché la scelta all’epoca era a dir poco coraggiosa, oggi vi voglio parlare di una “motoretta” che ha fatto sognare i neotamarri 14/16enni dell’epoca. Quelli che giravano bardati con jeans Levi’s, cintura El Charro, camperos, chiodo d’ordinanza e capello alla Jon Bon Jovi della prima ora.

La Casa in questione era l’Aprilia e quella motoretta era la mitica Red Rose.

Sì lo so, potete dirmi che non era una vera custom, che non aveva un bicilindrico di Milwaukee, che era da fighetti, che non andava manco a spingerla e bla bla bla. Ma fate partire la playlist e ascoltate la mia storia, che poi ne parliamo.

La Red Rose è stata la prima custom di piccola cilindrata liberamente ispirata alle Harley Davidson che importava il grande Carlo Talamo (anche se la prima serie ricordava molto la Yamaha Virago).

Cromature a profusione, sellone imbottito, manubrio leggermente chopper, e si andava a comandare. Orde di ragazzini in piena tempesta ormonale che si sentivano i novelli Harley Davidson e Marlboro Man (per i più giovani, un B Movie di discutibile qualità, ma con Don Johnson e Mickey Rourke che più fottutamene trash non potevano essere), che imperversavano per le città con l’aria strafottente da biker vissuti, a caccia di squinzie da far salire sul sellino posteriore per portarle a fare una gita in collina con fini moralmente discutibili.

Peraltro, le moto erano omologate monoposto e invece del sellino passeggero c’era una piccola borsa portattrezzi in pelle, che quei furboni dei progettisti, però, avevano dotato di un’imbottitura in gomma, rendendola un perfetto sellino fintamente improvvisato. La famosa fantasia degli italiani…

Con la Red Rose Aprilia aveva pensato proprio ai giovanissimi, infatti le cilindrate erano rispettivamente 50 e 125 cc. La 50 era motorizzata Minarelli, miscelatore separato, cambio a 3 marce e velocità codice di 40 km/h (ovviamente veniva regolarmente “sbloccata” e faceva tranquillamente gli 80). La 125 aveva il Rotax da 122cc a 6 marce della cattivissima AF1 debitamente soffocato per un utilizzo più “cruiser”. Ma, anche qua, dopo aver tolto i “fermi” si riusciva a farla arrivare senza fatica a 160 km/h. Per entrambe, forcella telescopica e doppia sospensione posteriore, accensione elettronica e strumentazione doppia.

Nella prima serie le colorazioni dei 50 erano di base blu o rossa, con una piccola rosa rossa sul serbatorio. Il 125 si caratterizzava per un serbatoio bicolore su base nera o rossa con goccia bianco/avorio sulla quale faceva bella mostra di sé il logo Red Rose stilizzato.

A Eicma 1991 Aprilia presentò la seconda serie, questa volta più simile alla Honda Shadow, quindi più bassa e lunga, con scarico tapered e sospensione posteriore mono sotto la sella, nello stile delle Softail di Harley. A livello motoristico solo piccoli aggiornamenti, come il miscelatore Dell’Orto per la 125 e il cambio a 5 marce per la 50. Per quanto riguarda il lato estetico si fecero notare le nuove verniciature metallizzate delle versioni Classic.

Ah, tra l’altro il 1991 è quello che personalmente considero uno dei più importanti momenti per la mia “formazione musicale” e uno dei più prolifici per la storia del rock moderno. Il lancio della seconda serie della Red Rose collima con l’esplosione del grunge nel circuito mainstream, trainato dal capolavoro assoluto dei Nirvana, quel Nevermind che ho letteralmente consumato nel mio mangiacassette, da Ten dei Pearl Jam, dal Black Album dei Metallica e ancora Blood Sugar Sex Magik dei RHCP, Use Your Illusion dei Guns N’Roses, Out of Time dei R.E.M., dai Temple of the Dog e Achtung Baby degli U2.

Forse è per questo che la Red Rose è così ben impressa nella mia memoria. La piccola Red Rose è una moto rock come solo una vera custom può essere. La sua evoluzione segue fedelmente come un leit motiv il cambiamento in atto nella scena rock degli Anni 90.

 Le successive modifiche alla moto, le nuove colorazioni, le migliorie apportante negli anni (freno a disco post, ruota posteriore a raggi Borrani ecc) e il successo commerciale coincidono con l’uscita di album che hanno fatto la storia di quegli anni. Pensate al 1994 con l’Unplugged dei Nirvana, alla nuova scena punk californiana con i Green Day o gli Offspring, a quel capolavoro di Grace di Jeff Buckley, a No Need to Argue dei Cramberries. Il 1995 con il maestoso Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins. O il 1996 con Evil Empire dei Rage Against the Machine o Definetely Maybe degli Oasis. E il 1997? Ok Computer dei Radiohead e il disco d’esordio dei Blur. Ma che ve lo dico a fare.

Ora capite??? La Red Rose ha attraversato una decade incredibile per il rock, ogni model year della moto coincideva con il lancio di album epici. Ora immaginate di essere un adolescente che sfoglia i giornali di moto del periodo ascoltando questi album e capirete perché sono tanto affezionato alla piccola custom di Noale.

Scusate la divagazione musicale, ma mi si è chiusa la vena e mi è partito un trip tra i ricordi.

Torniamo alla moto, che è la protagonista di questa storia.

Che dire ancora? La Red Rose piaceva così tanto che dalla metà degli Anni 90 ha ricevuto solo aggiornamenti estetici (a parte qualche piccolo accorgimento sui motori per essere in regola con le norme antinquinamento).

L’unica modifica degna di nota sarà la presentazione del modello Classic 125, che si rifà alla 50, ma porterà diverse novità, tra cui un finto serbatoio con tappo del carburante di tipo aeronautico, strumentazione integrata nello stesso e addirittura un vano sottosella che poteva contenere un casco jet. Purtroppo, l’era degli scooter era in rapido avvicinamento con la loro facilità di guida, l’hype della novità e più vani portaoggetti di un’utilitaria. Non vi ricorda un po’ la triste fine dell’epopea di una vecchia rock band che si mette a produrre pezzi commerciali per vendere più dischi?

Ma la vecchia Red Rose ci riserva un’ultima chicca, un ultimo grande sussulto rock. La versione d’addio, infatti, verrà commercializzata su una base grigio metallizzato con parti verniciate in giallo ocra, come a lasciare un’ultima eredità ai posteri. Di lì, infatti, diversi concept e modelli di serie (tra le quali la stupenda MoTò disegnata da Philippe Stark) riprenderanno quelle livree, come ad omaggiare la vecchia Star.

Negli anni a seguire abbiamo assistito alla crescita verticale del mercato di scooter e scooteroni (che io non ho mai capito, ma vabbè), alla caduta altrettanto verticale delle moto da fuoristrada (che ho capito ancora meno), all’impennata delle supersportive, all’invasione delle GS, delle naked e poi delle special. E al mondo delle custom che praticamente si è via via ridotto alle sole Harley Davidson, mentre le altre della categoria erano relegate a comparse sfigate.

Ma oggi, fortunatamente, gli adolescenti sembrano rinsaviti (motociclisticamente parlando, almeno) e tornano a desiderare la Vespa a marce elaborata, il 50ino da enduro/motard o il 125 2 tempi a miscela a 16 anni. E allora perché non sognare anche che fra tanti smartphone da 1000mila pollici, TikToker, Influencer vari o presunti tali, ci sia ancora qualche ragazzino con lo spirito del cinghiale sopito, che aspetta solo di tirar fuori lo Schott, la cintura di El Charro e i camperos del papà e scorrazzare per la provincia su una piccola grande custom come la nuova Red Rose, con la bella della compagnia avvinghiata sul sellino dietro? Di quelli che ancora dicono “Sali, che ti porto a veder le stelle”.

Io me li immagino così, belli, felici e sfacciati mentre sfrecciano liberi verso l’orizzonte.

Sì, lo so, sono un inguaribile nostalgico, ma sognare non costa niente, vero Aprilia? E magari, visti i pregressi, vuoi vedere che in concomitanza con un eventuale lancio della piccola Rosa Rossa esce pure un nuovo album rock da tramandare ai posteri? Che di scooter, trap (non il Mister, eh), reggaeton e hit estive spagnoleggianti ne abbiamo le palle piene, ormai.

Ok ragazzi, storia finita. Mi godo un’ultima birra con l’intro di Yellow Ledbetter dei Pearl Jam in sottofondo. E vi saluto.

Stay Wheelerz