Ricordo benissimo quel momento. Era l’estate dell’89, il muro di Berlino sarebbe stato abbattuto di lì a poco cambiando per sempre la faccia dell’Europa che conoscevamo, l’Inter vinceva lo storico scudetto dei record sotto la guida del Trap, i Pink Floyd suonavano a Venezia in un concerto che sarebbe diventato storia. Noi ragazzini passavamo i pomeriggi tra il muretto in centro e il bar dove giocavamo a Kick Off, mentre nel frattempo cercavamo di contenere i primi pruriti preadolescenziali, provocati dalle modelle di Postalmarket e dalle allusive movenze delle ballerine della Lambada, il tormentone di quella torrida estate. 

Io avevo 11 anni e, complice una serie di fortunate coincidenze (anche se mia mamma ancora oggi non la pensa così… ndr), iniziavo a scoprire anche la passione per le moto. Colpa dell papà che faceva lo “speaker” per un motoclub della zona, delle aziende leader del settore boots (Gaerne, Alpinestars, Sidi, Stylmartin) fuori dalla porta di casa e di un parente di mia mamma un po’ matto che un bel giorno mi portò a casa di Luigino Medardo, un esperto pilota di enduro di Montebelluna. 

Luigino Medardo però era anche pilota ufficiale Gilera alla Dakar in sella alla mitica RC600 rossa. Ecco, lì, in quel preciso momento, è nata quella che ancora oggi è la mia più grande passione. Ascoltare le avventure e gli aneddoti riguardanti quella massacrante maratona nel deserto, raccontati da uno dei protagonisti dell’epoca, mi ha folgorato come Saulo sulla via per Damasco.

Ricordo le mancette settimanali che spendevo rigorosamente comprando riviste, ammirando estasiato le foto di Gigi Soldano, sognando scorribande nel deserto in sella alle Gilera RC600 e 750, alla Cagiva Elefant, alla Yamaha Super Tenerè.

Ricordo la sera, alle 22.30, quando sfidavo “La Genitoriale” per guardare lo speciale di mezz’ora in cui Nico Cereghini raccontava la tappa di giornata. E concentratissimo cercavo di non perdermi una parola, un’immagine o un filmato, così poi il giorno dopo a scuola potevo diffondere il verbo. Mi guardavo pure la gara dei camion, perché c’erano Vismara e Pozzetto (sì proprio lui, l’ attore…). E poi aspettavo con ansia il trafiletto sulla Gazzetta e gli articoli sulle riviste specializzate.

Erano gli anni di De Petri, Orioli, Picco, Mandelli e Medardo. Di Gualini e Terruzzi, di Winkler, Maletti e Findanno. Se le davano di santa ragione sulle sassose piste verso il lago Rosa, ma alla sera si ritrovavano sotto la stessa tenda a discutere della tappa, delle strategie, delle insidie della navigazione, di quel sasso qua o quelle dune Barcane di là.

Tenevano alto il tricolore, contendendo spesso la vittoria a piloti eccezionali come Stephane Peterhansel detto “Monsieur Dakar” (titolo guadagnato sul campo grazie a ben 6 vittorie in moto e 8 in auto, inarrivabile), a Jordi Arcarons, Danny Laporte, Gilles Lalay.

Era un po’ come con vecchie le squadre di calcio, tutto era come doveva essere, le Gilera Rosse, le Cagiva bianche con la gloriosa livrea Lucky Explorer, le Yamaha Belgarda bianche di De Petri & Co. con lo sponsor Chesterfield e quelle Blu elettrico di Yamaha France con lo sponsor Sonauto.

Ognuno tifava per il proprio eroe o per la moto preferita. Io ero di parte e ovviamente non potevo che tifare per Franco Picco, Luigino Medardo ed Edi Orioli, orgoglio triveneto!

Edi Orioli tra l’altro ne ha vinte 4 di Dakar, in sella ad Honda e Cagiva. E Picco, beh, su di lui si potrebbe scrivere un libro ma questo ve lo racconto dopo.

Dopo qualche anno buio a livello di esposizione mediatica e impegno ufficiale delle case, tra fine Anni 90 e i primi 2000 sulla Dakar si è abbattuto il tornado KTM. La casa di Mattighofen ha riportato l’interesse dei colossi motociclistici sulla gara fuoristrada per antonomasia, l’ha usata per sviluppare i motori LC4 (quello del 640/660) ed LC8 (quello della stratosferica 950/990 Super Adventure) e detterà legge nel deserto per i successivi 20 anni. 

La 950 in particolare è diventata una vera icona. Era nata per il deserto, con il doppio serbatoio in basso, la sella alta come il garrese di un Appaloosa e quelle linee spigolose, tese verso l’orizzonte. E poi quel bombardone di motore, scorbutico e incazzato come un tasso del miele, più di 100 arrogantissimi cavalli (all’epoca era follia pura su una moto da offroad/turismo) che le permettevano velocità da sportiva stradale e punte di 200km/h in pieno deserto! La sua versione civile, poi diventata 990 con l’iniezione, è ancora oggi l’oggetto dei desideri di orde di avventurieri della domenica, viaggiatori incalliti e semplici appassionati. L’accendi e ti sale un’ignoranza che in confronto i Figli della Guerra di Mad Max sembrano scolaretti in gita.

La moto, inoltre, è stata sviluppata da 2 piloti italiani, Giovanni Sala, pluricampione del mondo di Enduro, e Fabrizio Meoni, il Cinghiale di Castiglion Fiorentino. Meoni è stato capace di portare alla vittoria la KTM nel 2001 e nel 2002, oltre ad un secondo e 2 terzi posti, e a 4 vittorie al Faraoni.

Fabrizio purtroppo è mancato nel 2005, vittima di un incidente proprio durante la Dakar, al km 184 della tappa tra Atar e Kiffa in Mauritania. La sua perdita ha lasciato un vuoto incolmabile nei nostri cuori, ma anche un’eredità da non disperdere. La sua passione per l’Africa infatti trascendeva dall’aspetto sportivo, e rimasto colpito dalle condizioni di vita dei bambini di Dakar, ha creato un’associazione benefica che si impegna ancora oggi a creare scuole e progetti per migliorare la vita di quei bambini. La prima è stata la Ecole di Fabrizio e Cyril (Despres, all’epoca suo compagno in KTM), alla quale ne sono seguite molte altre. I progetti benefici adesso sono seguiti dalla Fondazione Meoni, nata in suo onore nel 2006 e ancora attiva in diversi paesi oltre naturalmente al Senegal, perché come diceva Fabrizio “L’ Africa mi ha dato tanto, è giusto che restituisca qualcosa”.

La Dakar dà e toglie, e oltre all’indiscusso fascino è nota anche per la sua pericolosità. Oltre al nostro Meoni sono purtroppo molti i piloti che hanno perso la vita nel tentativo di compiere questa impresa. E persino il fondatore, Thierry Sabine, è rimasto vittima di uno schianto mortale con il suo elicottero mentre seguiva l’edizione del 1986.

But “The show must go on” e la Dakar continua tra varie peripezie organizzative a causa della situazione geopolitica del Nord Africa. Dopo un anno di stop nel 2008, nel 2009 lascia le sabbie della Mauritania e del Senegal per trasferirsi nei deserti rocciosi del Sud America, e ci resterà fino al 2019.

In quegli anni è stato palese lo strapotere dello squadrone KTM, che ha vinto praticamente tutte le edizioni, con Despres, Sainct, Coma e Roma a spartirsi la prima posizione per una decina di anni.

Nel frattempo, nel tentativo di ridurre prestazioni e velocità in favore della sicurezza, dai bombardoni bicilindrici da quasi 1000 cc, siamo tornati ai mono da 600 cc fino alle attuali 450. Che comunque vanno come le vecchie 1000, solo che sono più leggere.

Le edizioni sudamericane, famose per il tifo appassionato degli abitanti dei paesini dove passava la carovana non avevano però il fascino delle prime avventure nel deserto, dove oltre ad andare forte i piloti dovevano essere dei grandi navigatori. Mancavano le vere dune, le distese sterminate di sabbia senza riferimenti, e tranne che tra i veri appassionati, anche a causa di una copertura mediatica praticamente assente, la Dakar aveva perso un po’ di appeal.

Nel 2020 però la carovana arriva in Arabia Saudita, dove è vero che non c’è Dakar e il suo Lago Rosa all’arrivo, però il deserto e le dune sono quelle vere.

E nel 2020, dopo 19 anni di dominio assoluto, la KTM perde lo scettro in favore della Honda ufficiale di Ricky Brabec, a testimonianza del fatto che le case ufficiali (e con esse gli sponsor e i media) hanno ricominciato ad investire sulla Dakar.

Negli ultimi 3 anni abbiamo visto un’esplosione nel mercato delle moto Adventure (vedi Tenerè, Africa Twin, e compagnia danzante), che ha finalmente riportato l’attenzione degli appassionati sulla gara Adventure per eccellenza. Quest’anno mancherà Yamaha in veste ufficiale (ha dirottato team e risorse sull’Africa Eco Race, gara che arriva proprio a Dakar), ma i fuochi d’artificio non mancheranno di certo. Ci sarà come al solito la corazzata KTM, che comprende anche Husqvarna e Gas Gas (in pratica sono la stessa moto con colori diversi) e che e schiererà al via una batteria di manette impressionanti, Toby Price, Matthias Walkner, Kevin Benavides in arancio, Sam Sunderland (vincitore dell’ultima edizione, quest’anno purtroppo fuori gara alla seconda giornata) e Daniel Sanders in rosso, Luciano Benavides e Skyler Howe in bianco. In pratica il super team mette assieme 6 vittorie alla Dakar. E devo ammettere che le austriache mi fanno veramente chiudere la vena (le moto eh!).

Ci sarà l’agguerrito team Honda HRC al gran completo, capitanato da Ricky Brabec (unico non KTM ad essere riuscito a vincere un titolo), dal neo acquisto Adrien Van Beveren, dal simpaticissimo e velocissimo Nacho Cornejo, Joan Barreda e da Pablo Quintanilla… Mica pilotini qualunque.

Occhio alle cenerentole Sherco e Hero, team ufficiali meno prestigiosi, ma che annoverano tra le proprie fila gente come Ross Branch, Lorenzo Santolino e Rui Goncalves, che potrebbero riservare qualche sorpresa.

Sorpresa che lo scorso anno è arrivata dal nostro Danilo Petrucci, unico pilota MotoGP capace di vincere una tappa della Dakar, e dopo aver centrato un cammello, essersi capottato e pure perso. Danilo manetta vera!

Adesso però permettetemi di esprimere un po’ di sano italico orgoglio. Vorrei spendere due parole su un team ufficiale italiano, con moto italiane e piloti italiani. Alla partenza ci siamo stopicciati gli occhi tifando e saltando sul divano con birra e patatine come se fosse la finale dei mondiali di calcio perché la Fantic è scesa in campo con un team ufficiale in sella alla fantastica XEF 450 Rally, sulla quale tutti abbiamo sbavato ad Eicma. È una moto ufficiale nata per il deserto, ma pressoché identica a quella che si potrà acquistare in concessionaria. E che piloti! In griglia il velocissimo Alex Salvini, ex campione del mondo di enduro e pluricampione italiano assoluto nella stessa specialità, qui alla sua prima Dakar. La manetta non gli manca, vediamo come procederà con la navigazione. Poi Tiziano Internò, ideatore e fondatore di Rally POV, alla sua terza Dakar e sempre, anche questa volta, iscritto alla Original by Motul, la Dakar di quelli veri, che dopo essersi rotti il culo 8/10 ore in moto, di sera la smontano, la rimontano e dormono pure in tenda. Purtroppo Tiziano è caduto al chilometro 26 della seconda giornata e ha dovuto fermarsi a causa degli infortuni. Infortuni che però non gli hanno impedito di proseguire la corsa, pur se mezzo rattoppato e solo per una tappa, dimostrando ancora una volta che i ragazzi della Malle Moto sono dotati di attributi fuori dal comune. Quando si dice “giocarsi il jolly”, in tutti i sensi. La stessa speciale, a detta degli esperti la più dura delle ultime edizioni (praticamente un inferno di 460 chilometri di pietre), ha invece messo ko il nostro Tommaso Montanari, alla sua prima Dakar con il team Solarys.

Rally Pov nasce come la prima vera cura per i “Malati di Dakar”. Un diario di viaggio di un anno intero che vi porterà a scoprire tutto sul mondo dei Rally, e soprattutto a vederlo “da dentro” con live giornaliere, interviste e speciali! Inoltre supporta il progetto Bivacco Italia, un luogo che saprà riunire tutti gli italiani in gara alla Dakar sotto un’unica tenda. Una struttura che accoglierà sia i piloti della Malle Moto sia quelli con assistenza con il medesimo supporto e sostegno. Un’unica maglia che avrà lo scopo di aggregare tutti i piloti azzurri.

Ed ecco il capitolo a parte di cui vi accennavo prima, la terza moto sarà guidata da quella vecchia volpe di Franco Picco, alla sua 32° Dakar a 67 anni compiuti, ormai per tutti The Legend. Lui la XEF l’ha portata in gara lo scorso anno, concorrendo allo sviluppo della stessa e sono sicuro che quest’anno, complice la sua proverbiale maestria nella navigazione e la sua esperienza, sicuramente darà del filo da torcere ai tanti ragazzini terribili che quando lui già vinceva nel deserto ancora non erano nati. Ogni parola per lui ormai è superflua, perché oltre alle capacità tecniche è un genuino, verace, simpatico. È la Treccani del deserto, un highlander forgiato nell’acciaio. Lui è un vero Wheelerz, quell’essere mitologico mezzo uomo e mezza moto di cui si narra nelle storie tra bikers dopo 4/5 birre.

Tra le novità c’è anche la bellissima iniziativa del team Daverio grazie al progetto Lucky Explorer Gentleman che schiererà nientemeno che Ottavio Missoni, al suo debutto alla Dakar, ma forte delle esperienze al Mongol Rally, alla Gibraltar e a diverse gare di Motorally e Cesare Zacchetti, ormai un veterano della Motul. Solo a vedere quel logo su una moto in mezzo alla sabbia a me vengono le lacrime!

E che facciamo, ci dimentichiamo di tutti quei privati che partono nella Motul, magari con moto assemblate, o di qualche anno fa, e soffrono per arrivare al traguardo senza meccanici, fisioterapisti e assistenza? Loro sono l’essenza della Dakar, partono con lo stesso spirito dei pionieri di fine Anni 70 e forse sono i veri eroi di questa corsa. Nominarli tutti è impossibile, ma tra di loro ci sono Piolini (uno che la sua prima Dakar in Sud America l’ha fatta da abusivo!!!), Cesare Zacchetti, Paolo Lucci (che farà parte del forte Team BAS KTM), Lorenzo Maria Fanottoli, Lorenzo Maestrami, Tommaso Montanari ed Eufrasio Anghilleri, oltre all’esperto Maurizio Gerini, anche se quest’anno sarà al via come navigatore auto.

A questo punto fuori il tricolore!

Oggi forse la Dakar non avrà più lo spirito avventuriero a pionieristico di 40 anni fa, la tecnologia e la sicurezza hanno fatto (giustamente) passi da gigante, non dovremo più aspettare le 22.30 per vedere lo speciale di Nico Cereghini, non aspetteremo più con ansia l’uscita della rivista per leggere la cronaca della gara e sbavare sulle foto. Oggi è tutto più facile: apriamo lo smartphone e potremo seguire la gara sull’app dedicata, sui vari siti motoristici, sulla RedBull TV (trasmette tutti i giorni) o appunto su RallyPov che ogni giorno trasmetterà direttamente dal bivacco Italia e vi darà una prospettiva diversa della gara.

Mi piace pensare però che lo spirito della Dakar sia sempre quell e che, come nel 1989, tiferemo per questo o quel team con la stessa passione di un ragazzino sognante di 11 anni. Ah dimenticavo, per i piloti da divano c’è anche il gioco Dakar Rally per Playstation, che vi permetterà di immedesimarvi nei vostri piloti preferiti, navigando tra le dune, leggendo le note sul roadbook, rischiando al massimo la lussazione del pollice a causa del joystick. (Quasi) come quelli veri insomma. 

Stay Wheelerz!