Le lenti a specchio dell’occhialata Anni 80 riflettono una lama di luce killer. Quando il sole è alto nelle ore di punta, la distesa grigio chiaro del cemento diventa abbagliante. La patina liscia e uniforme è interrotta solo da alcune crepe e dalle tag scarabocchiate. Le superfici curve dei quarter, i pipe, si scontrano con gli spigoli vivi dei bank e degli scalini. Contrasti netti di luci e ombre. L’atmosfera è metafisica.

I primi trick della giornata scaldano le ginocchia e attivano i glutei. Le traiettorie e gli sguardi si incrociano tra chi sale e chi scende dalle strutture. L’assolo di batteria nelle cuffie alza l’adrenalina. La concentrazione è alta, ma disinvoltura e stile non lasciano trapelare nulla della tensione sottile di fondo.
Fakie Ollie, Manual lunghissimi, Rock’n’Roll sui coping, Chick Flip sui bank. La fronte gronda sudore. Una goduria. Anche per chi guarda.
Skaters, pattinatori, bikers, si contendono le strutture a colpi di trick. I local più intesiti borbottano e alzano la voce. In questo calderone i monopattini si infilano in ogni spazio libero. I tipi loschi sulla panca squadrano tutti con lo sguardo perso. Un luogo dove convivere, rispettando regole non scritte.

Si viene al park per fare skateboarding, per migliorare, per sentirsi gratificati e liberi in una società effimera che nasce e finisce il sabato pomeriggio. La politica non entra, se non sul cotone delle T-shirt o in qualche concetto abbozzato nelle pause. Conta solo avere i piedi sulla tavola.
Una giungla artificiale popolata da figure colorate, con abiti larghi e spesso strappati, che si espande a chiazze di città in città, connettendo le periferie. Le community di riders valorizzano spazi e strutture, se ne prendono cura, ne diventano i custodi naturali.

C’è un libro fichissimo che racconta la West Coast americana degli Anni 70 attraverso l’antiarchitettura degli skatepark immortalati dall’obiettivo di Amir Zaki. Voci narranti: Tony Hawk e Peter Zellner. Si intitola California Concrete e parla per immagini delle curve di cemento scavate nel terreno, dei volumi plasmati dall’inventiva e dalla voglia di divertimento. Sono i panorami artificiali degli Z-Boys, quelli che hanno cambiato tutto.
Per entrare in questa mentalità qui, però, bisogna prima mettere il piede sulla tavola. E per farlo ci sono i corsi autunnali con gli istruttori Sbanda Brianza. Tutte le info su modalità e prossime date le trovate QUI.

Il rumore del park, quasi assordante per tanti, è una dolce musica per noi, qualcosa di gratificante, che rilassa i nervi. Trick che rimbombano, grindate sui tubi, copertoni che stridono, rotelle che sgommano, suole che sfregano. Uurla e applausi per i trick più stilosi.
Un’energia libera, in un’intensa luce abbagliante.
Con le cuffie nelle orecchie.