Bella la vita del gentleman driver, che corre in pista nel weekend per sfogare l’adrenalina repressa durante la settimana lavorativa. Un eroe poetico, in lotta perenne col demone della velocità e baciato da una gloria eterna che nemmeno Massimo Decimo Meridio ne Il Gladiatore. E invece no, non tutti quelli che corrono per diletto lo fanno con la stessa leggerezza di Giannino Marzotto alla Mille Miglia negli anni Cinquanta o hanno la fila di sponsor pronti a lanciare fondi a pioggia per farli correre tutta la stagione.
Sono i piloti come Umberto Vaglio, una carriera da manager di successo nei giri dell’automotive che conta e un piede abbastanza pesante da collocarlo tra i primi in griglia di partenza della F2000. Felici in pista, nonostante i mal di testa per trovare gli sponsor, i budget risicati e qualche scelta obbligata per tirare al risparmio.

Umberto, il manager veloce. Agli occhi di un appassionato di motori normale, Umberto Vaglio ha già avuto esperienze automobilistiche di un livello tale per cui le storielle da raccontare ai futuri nipoti sono già pronte.
Gli inizi in Peugeot a pensare al posizionamento delle macchine di segmento C, poi il passaggio ad Alfa Romeo dove si è occupato del marketing del modello più visceralmente Alfa degli ultimi 25 anni (la Giulia GTA / GTAm). Una volta andata sold-out quest’ultima (sì, vendute tutte e 500), Vaglio si sposta in Picasso Automotive, dove fa parte del team che deve portare sul mercato la supercar svizzera pensata nel Cantone dei Grigioni. Che però andrà su strada senza di lui, che nel frattempo si sposta in un conglomerato che parla tante lingue, non solo quella dell’automotive, trovando anche il tempo per collaborare ad altri progetti di innovazione che spesso si incrociano con il mondo delle quattro ruote.
È la descrizione di un manager di successo, che però è solo una delle due personalità dell’ospite di questa Issue. Perché Umberto, in realtà, è un pilota di auto da corsa imprigionato nel corpo di un manager d’azienda, uno di quelli che dal lunedì al venerdì salva il mondo una mail dopo l’altra e nel fine settimana si mette il casco e spinge al limite una monoposto di quindici anni fa, alla ricerca del piazzamento in uno dei tanti campionati in cui si sfidano i gentleman driver come lui. Un manipolo di sognatori, che corrono con professionalità senza essere professionisti cercando “quel momento, a 7.000 giri, in cui tutto scompare”.
Sognatori dicevamo, ma con la calcolatrice in mano. Perché correre in macchina – qualunque sia la disciplina – è un salasso e se non lo fai per lavoro devi trovarne uno che ti permetta di mantenere un hobby affascinante sì, ma costoso.

In pista dopo gli “enta”. Umberto da piccolo faceva cose da bambino del 1984, non andava a correre sui go-kart con il camper del papà-agente. Fa sempre scena raccontare quella storia lì, ma la verità è che in tanti arrivano a correre dopo un lungo processo di maturazione e con una carriera avviata lontano dalle piste, che aiuta a togliersi qualche capriccio come, ad esempio, comprare una vecchia Formula 3 con cui lanciarsi nel campionato F2000 Formula Trophy.
È irrazionalità pura in età matura, un controsenso, una sana e consapevole libidine che salva il nostro non dallo stress – che anzi si impenna, specie prima dell’inizio di una nuova stagione – ma dal logorio della vita moderna fatta di budget, presentazioni al comitato esecutivo e piani di marketing da scrivere la sera tardi, in ufficio.
Si parte risparmiando per qualche test, poi si aggiungono i kart (quelli veri, da adulti) e le serie d’ingresso, come la Formula Renault. Infine arriva il gran giorno, quello in cui Umberto compra la macchina da corsa e si butta nella mischia. Le annate 2018 e 2019 promettono bene, poi c’è lo stop forzato per il Covid. Alla ripartenza però è subito in griglia.

La F2000, una serie piccola ma pepata. Si tratta di una serie minore, ma di quelle frizzanti, dove puoi trovare giovani promesse in ascesa, vecchie glorie che sfogano la nostalgia una chicane alla volta e tanti – i più per la verità – che non sono giovani, non sono vecchi e non hanno alcuna velleità di diventare professionisti pur essendo estremamente combattivi.
Il risultato è un campionato in cui il livello della competizione è alto e si corre in piste fighe: Imola, Mugello, SPA, Vallelunga, Redbull Ring e Misano, tutti templi per smanettoni. Una serie, quella organizzata da Piero Longhi, fatta di gente che in pista dà tutto ogni volta, ma con rispetto per gli avversari e un senso di gruppo che non ti aspetti in un contesto agonistico. Una tranquillità che viene forse da una lucida disillusione.
Lo sanno tutti che non c’è Toto Wolff in tribuna a fare scouting di talenti; quindi, è meglio concentrarsi sulle curve e godersi il momento.

Per essere competitivo non è sufficiente essere ossessionato. In pista devi capire prima di sognare, e per capire ti devi affidare a qualcuno che già ne sa.
Su questo Vaglio è fortunato, perché riesce a trovare un ingegnere di pista e un pilota veterano che lo prendono sotto la propria ala protettiva e gli danno quelle indicazioni – preziosissime – che non puoi imparare guardando i video su YouTube. Partendo sempre da un assunto, e cioè che in pista è molto più importante sapere dove NON andare piuttosto che dove mettere le ruote.
E poi c’è la modernità che ti viene in soccorso: quando non hai la possibilità di fare giornate e giornate di test e sostanzialmente la tua prestazione in circuito deve essere buona alla prima probabilmente qualche ora di simulatore è una buona idea. Beh, non quello della Dallara che costa milioni di euro e con cui puoi vedere come risponde l’auto su ogni singola buca del Mugello, ma neppure il gioco da nerd con il volantino e la pedaliera presi col Black Friday. Puoi farti una postazione decorosa e “didatticamente realistica”, che ti permetterà comunque di familiarizzare col circuito prima di arrivarci, senza spendere più dei soldi di una vacanza.
Nulla però sostituisce la pista dal vivo: quando vuoi capire se le corse fanno per te c’è solo una cosa da fare. Spingere su un vero acceleratore e farti rimescolare gli organi interni dalle forze G. Il resto è petting.

A caccia di sponsor, o si salta qualche gara. Per andare forte però, oltre al piede giusto ci vogliono anche gli sponsor. Perché nella vita quasi nessuno nasce principe qatariota come Nasser Al-Attiyah o ricchissimo figlio d’arte come Mick Schumacher.
Se sei un gentleman driver che corre nel weekend hai un sacco di spese e nessun introito sportivo. E allora devi andare a caccia di mecenati. Che è più difficile di un giro veloce a Montecarlo sotto la grandine, specie se le tue gare non vanno in diretta sulla pay tv, anche se sei uno del giro buono dei motori e negli anni hai raccolto più di qualche biglietto da visita pesante. Devi trovare aziende magari lontane dal motorsport che si innamorano dell’idea di un Don Chisciotte hobbysta che gareggia per il piacere di farlo. E di quella più pragmatica di attaccarci qualche esperienza “incentive” per clienti e partner commerciali, anche se nel paddock non si corre il rischio di incrociare Shakira con Tom Cruise o Khaby Lame che fa i TikTok.
E se lo sponsor non c’è? Fai come Umberto, che in un campionato dove puoi correre anche con vetture di Formula 3 del 2020 si presenta alla partenza con una Dallara 2008 in configurazione originale, senza nessuno degli upgrade possibili per telaio, motore, cambio e aerodinamica. Un po’ come quando sei al primo livello di Gran Turismo, vai nello showroom, ma non hai ancora guadagnato abbastanza per sbloccare le parti del Tuning Shop…
E quando risparmiare sulla macchina non basta si rinuncia a qualche gara, magari sacrificando la tappa di Misano per poter saldare un conto aperto con Imola.