Visto che di rodeo parliamo, potrei iniziare con lo scrivere che la vita è come un cavallo imbizzarrito in un rodeo, che cerca di disarcionarti continuamente. Che cerchiamo in tutti i modi di rimanere in sella e che la cosa, a volte, è un tantino complicata.
Ma sapete che c’è? Fanculo i discorsi filosofici e i pipponi sul senso della vita.
Mi sono appena aperto una birra ghiacciata, spalmato sul divano dopo una mattinata di enduro sotto la pioggia, in mezzo ai miei amati boschi, alla scoperta di trail ricoperti di un fottutissimo quanto viscido fango argilloso, quello che non stai in piedi nemmeno da fermo. E il tutto smadonnando come un minatore uzbeko perché, invece che prendere una leggera enduro 2 tempi da 99 kg, ho dovuto spingere quel cancello della mia Husqvarna TE630. Sì proprio quella che tutti snobbavano perché non era una vera Husqvarna, perché era di BMW (che non sapeva fare le enduro serie), perché pesa, perché è lunga, perché è no meat no fish.
Ma lei, come un calabrone che se ne fotte della fisica e delle ali piccole, vola anche se non potrebbe.
Che poi si sa che è una leggenda metropolitana, ma è troppo bello immaginare il calabrone che con sguardo truce apostrofa i detrattori “Ah sono troppo grosso? Ah, ho le ali piccole? Cazzomene, e io volo lo stesso! Tiè”, sale sulle mulattiere perché se ne fotte se pesa 160 kg e se quello che la guida è un fermone vergognoso. E non va solo in mulattiera: sugli sterratoni veloci ci sguazza, sui tornanti di montagna dà la paga alle stradali e ti porta pure in ferie carica come un mulo delle salmerie alpine! Ah, e ha quell’innata capacità di far apparire magicamente sulla tua strada osterie, agriturismi e affini. In sostanza è una delle poche vere eredi delle gloriose dual degli Anni 80 e ‘90, quelle moto che potevi usare per andare al bar in scarpe da tennis e giubbetto in jeans, o per affrontare la traversata di un deserto africano.

Certo, l’idea di provare a domare una 300 2 tempi da 60 cavalli su una mulattiera impestata, è sicuramente più affine con l’immaginario comune di un rodeo. Ma tenere il culo in sella ad una dual monocilindrica per ore e ore, sotto il sole o la pioggia, magari per affrontare un viaggio avventuroso o la vacanza della vita, magari in 2 e pure in fuoristrada… Penso che a livello di difficoltà, sofferenza, soddisfazione e masochismo, possa tranquillamente considerarsi una forma di rodeo. Solo che in questo caso non è la moto che vuole disarcionarti: sei tu che ti chiedi chi te l’ha fatto fare mentre resisti stoicamente all’idea di mollare tutto e prenderti un comodo boxer tedesco. Ma, come il calabrone, te ne fotti e continui ad andare.
Ah già, tutto ciò per introdurre l’argomento di oggi. Le dual.
Con il termine dual noi moderni cavalieri motorizzati identifichiamo tutte quelle moto con cui potete andare in off (leggero, almeno in teoria, ma ricordate il calabrone), viaggiare, andare a bere lo spritz al bar in piazza, in gita al mare con la morosa o al lavoro nelle giornate di sole sgusciando tra le auto in colonna. Il tutto su un ferro di 150/170 kg, con la sella alta come un cavallo, senza alcun riparo aerodinamico e un motore rigorosamente monocilindrico che vibra a magnitudo 8.7 che neanche un sex toy a propulsione nucleare. Caratteristica quest’ultima che qualche passeggero apprezza, ma di cui non v’è, al momento, alcuna evidenza scientifica (potrebbe essere oggetto di una interessante market survey).
Ma facciamo un passo indietro. Chi ha inventato queste specie di cammelli su due ruote? Quando sono nate? E perché qualcuno le comprava allora o le cerca adesso come il sacro graal? Perché la nascita di queste moto collima con le prime grandi avventure Africane, con le Dakar dei pionieri, con i primi viaggi intorno al mondo. E sono ancora oggi ammantate da quell’alone di misticismo e romanticismo che solo le leggende posso vantare. Hanno fatto sognare intere generazioni perché ti davano l’idea di poterti portare all’altro capo del mondo. E perché erano fiche, diciamocelo.

Probabilmente la moto che ha tracciato il primo indelebile solco e che ha aperto la grande stagione delle Dual è stata la gloriosa Yamaha XT500, quella diventata celebre per il serbatoio argento (era l’81 ed era già la terza versione. Nelle prime, quelle dal ‘75, era bianco). La XT era la sorella della stradale SR500 e della più estrema TT500. Era una moto leggera, agile, parca nei consumi, ma con una gran coppia sotto che ti tirava fuori dal brutto e sospensioni per l’epoca molto efficaci. Nata a metà degli anni 70, appunto, è stata usata quasi subito per i raid come la Dakar, visto che i piloti ne apprezzavano la semplicità meccanica, l’affidabilità e la grande leggerezza. Nella versione da 250 cc, poi, è diventata celebre nella scena cult in cui un giovane Sylvester Stallone scappa dalla polizia nel primo indimenticabile Rambo.
Ed è stata la moto che ha vinto la prima storica Dakar nel ’79, guidata nientemeno che da Cyril Neveu! Successivamente la cilindrata del motore è salita a 550, 600 e 660, ma l’XT è sempre rimasta a listino. Nel frattempo le quote della moto sono salite di pari passo con la cilindrata, è stato adottato l’avviamento elettrico (provate ad accendere un mono da 500/600 cc con la pedalina senza rompervi il perone se ne siete capaci) e l’elettronica è sensibilmente migliorata.
Il progetto è talmente valido che quel motore è rimasto in produzione fino ad una manciata d’anni fa. Personalmente lo ritengo uno dei motori più affidabili di sempre. Negli anni sono state create alcune versioni ad hoc per i viaggiatori che sognavano il deserto (le mitiche Tenerè con il serbatoio maggiorato), è stata ripresentata anno dopo anno in svariate tonalità cromatiche, ha attraversato almeno 30 di storia motociclistica, sempre con lo stesso spirito di un tempo. Quello di una moto buona per tutte le occasioni.
Vedendo il successo della casa di Iwata, mamma Honda poteva rimanere con le mani in mano? Certo che no, e allora ecco nel ‘79 l’XL500 S. Ormai la sfida era lanciata.
L’XL era la vera alter ego della Yahama XT. Anche in casa Honda sono partiti dai 500 cc per poi salire a 600, 650 e così via. E anche qui, man mano che passavano gli anni, sono state create versioni speciali come l’XL600 LM Paris-Dakar con il serbatoio maggiorato e il motore rosso (oggi la più ricercata tra gli amanti del vintage). La XL600 LM è stata una delle protagoniste indiscusse delle Dakar Anni 80, guidata anche dai nostri Orioli e De Petri.
Le 2 giapponesine terribili se le sono suonate di santa ragione per un decennio, interrotte solo dal possente boxer tedesco della GS80 di Auriol e Gaston Rahier. Ma non divaghiamo troppo e torniamo alle dual mono.
Ovviamente Yamaha e Honda vennero seguite e ruota da Kawasaki con la KLR e la Suzuki con la DR, che contribuirono alla diffusione del fenomeno dual sul mercato per una 20ina d’anni.
Purtroppo le mode cambiano e negli Anni 90/00 si è un po’ perso lo spirito avventuriero. La vendita di queste moto ha subito una forte contrazione, in favore del mercato delle supersportive stradali e degli scooter.
Tutto finito? No, decisamente no, e per fortuna direi. Grazie ad una serie di fortunate congiunture astrali, da metà anni 2000 abbiamo assistito ad un lento quanto costante ritorno di attenzione verso il genere dual. Vuoi perché le ipersportive stavano diventando costose, scomode e difficili da portare, soprattutto su strade aperte al traffico, vuoi per una rinnovata sete di avventura, vuoi perché la gente ha ripreso ad apprezzare la moto totale, le case hanno ricominciato a investire su questo genere (le giapponesi in verità ci avevano sempre creduto, in particolare Yamaha, Kawasaki e Suzuki), e con l’arrivo degli austriaci di KTM e gli svedesi di Husqvarna, BOOOM! Le dual hanno trovato la loro seconda giovinezza.
Dalla fine degli anni 2000 infatti il mercato delle dual ha ricominciato a prendere quota e gli appassionati potevano scegliere tra un ventaglio di proposte di tutto rispetto, trovando la moto più adatta alle loro esigenze e gusti.
La sempreverde Yamaha XT 600, l’inossidabile Suzuki DR600, la Kawasaki KLR650, e poi KTM, addirittura BMW con la GS650. Nel 2008, poi, proprio la casa di Mattighofen lancia la 690 (il motore è il famoso LC4 con cui Meoni ha vinto 2 Dakar) e subito dopo Husqvarna risponde con la TE630.

Insomma ce n’erano per tutti i gusti. Attualmente a livello di sviluppo e di lancio di nuovi prodotti, il mercato delle dual monocilindriche è un po’ più stagnante. Resistono KTM 690, Husqvarna 701 e Gas Gas 700 (in pratica sono la stessa moto, visto che KTM si è acquistato gli altri 2 marchi), ma non dimentichiamoci di Honda CRF300 e 300L e della 450 XR (anche se è più l’erede della famigerata XR600, un autentico mostro strappabraccia, con una cavalleria e un tiro che ancora oggi mettono soggezione solo a guardarla da spenta, e una compressione che ha fatto la fortuna di fisioterapisti e ortopedici). Ma considerato il boom del mercato adventouring, il rifiorire di motocavalcate e rally amatoriali e di eventi on/off, state sicuri che le nostre amate dual continueranno imperterrite ad avanzare inesorabili, incuranti di mode e trend, con lo sguardo truce del calabrone incazzato.

Le motivazioni che spingono a comprare una dual alla fine sono sempre le stesse: avere una moto con cui fare tutto, facile, magari senza spendere un capitale. Oggi, tra l’altro, oltre alle proposte sul nuovo, si possono trovare delle ottime occasioni sul mercato dell’usato. Sono moto quasi sempre molto affidabili, poco costose, non troppo spinte, che necessitano di poca manutenzione e pochi costi di gestione, e soprattutto adatte anche a chi vuole iniziare a mettere le ruote fuori dall’asfalto.

Ok e quindi? Che dual prendiamo? Sì lo so, è banale e scontata, ma non la facciamo una bella lista delle dual da acquistare? Eddai su, ne metto solo 5 giuro. Tanto alla fine faccio come il calabrone e la lista ve la metto lo stesso.
Eccole, più o meno in ordine di potenza, facilità di guida e costo.
Inizio con la Hondina CRF 250/300 L. È l’ideale per iniziare, leggerissima, pochi cavalli (meno di 30), consuma pochissimo e ha una buona autonomia. Con un po’ di malizia se la cava bene nel fuoristrada leggero e c’è anche la versione Rally con la torretta che fa tanto Dakar.

Passiamo alla Suzuki DRZ400. Penso sia la dual per eccellenza, nata verso la metà degli anni 2000. Va dappertutto, consuma meno di uno scooter, zero manutenzioni, facile e docile. Forse un po’ altina come sella, ma una volta in movimento non ve ne accorgerete. Trovatele un posto fisso in box perché non vi abbandonerà mai.

Arriviamo alla Yamaha TT600e. Non è l’XT, è vero, lei è la sorella leggermente più votata all’off, ma il motore è lo stesso, solo che ha una ciclistica leggermente più raffinata. Presentata nella prima metà degli Anni 90 ha già l’avviamento elettrico, una buona dotazione a livello sospensioni, una linea ancora attuale (è stata a listino fino al 2007), e con un po’ di pazienza si trovano esemplari con pochi chilometri che vi porteranno in giro per i boschi ancora per un bel po’ di anni.

Veniamo all’Husqvarna TE630. È nata quando il marchio svedese era di proprietà BMW, di conseguenza dotazioni, finiture e ciclistica sono di prim’ordine (freni Magura, frizione idraulica, sospensioni Marzocchi e ZF completamente regolabili). Il motore da quasi 60 cavalli è potente, ma sempre gestibile, non mette mai in difficoltà. Poche vibrazioni, non fosse per il serbatoio da 10l che ha circa 180 km di autonomia, permette anche di viaggiare. Occhio all’impianto elettrico un po’ capriccioso e alla difficoltà di reperire i ricambi. Io ne sono un fortunato possessore, e la uso tanto in off quanto per viaggiare.

Last, but not least, KTM 690 Enduro. Nata nel 2008, è una dual molto potente e, soprattutto nella versione R, altrettanto scorbutica (specialmente i primi modelli). Nel tempo si è ingentilita, anche a causa delle sempre più restrittive norme antinquinamento, ma mantiene sempre quell’indole corsaiola tipica dei prodotti KTM, tant’è che oggi ha più di 70 cv. Ha una guida che va capita perché monta un serbatoio posteriore, quindi le reazioni, specie con il pieno, sono leggermente diverse dalle classiche moto con serbatoio anteriore. Attualmente condivide piattaforma, motore e ciclistica con la Husqvarna 701 e la Gas Gas 700. In mano a piloti con il pelo può buttarsi tranquillamente in una speciale di enduro, ma allestita bene permette viaggi adventouring on/off praticamente senza limiti. Vista il notevole successo commerciale è quella con la maggior facilità nel reperimento di ricambi, kit accessori e power parts.

Ok, fine dei consigli per gli acquisti. Qualcuno mi fermi per la miseria! Quello che vi posso dire è di cercare la dual più affine al vostro tipo di guida, alla vostra struttura fisica e all’uso che ne vorrete fare, o banalmente, quella che vi piace di più. Sarete sempre dei Giusti. Ovviamente la voglia di avventura, una sana febbre per il tassello e una buona attitudine a soffrire in sella completeranno il simpatico quadretto.
Perché che rodeo sarebbe altrimenti?
Stay Wheelz