“La prima volta che ho appoggiato le terga su una moto da cross avevo 6 anni. Quindi pensa cosa posso aver provato su un palco accanto a Tony Cairoli che guarda una mia opera a lui dedicata, e sorride compiaciuto…”.

Stefano Bressani, mi parla di quel momento come se lo stesse rivivendo in diretta. Anche se siamo al telefono, vedo i suoi occhi luccicare esattamente come quelli del seienne di cui sopra alla prima esperienza in campo cross. Ciò che traspare distintamente dalle sue parole è una capacità spontanea e cristallina di tradurre il sentire in arte, il concetto in forma e la passione in espressione. Stefano è un artista delle emozioni più unico che raro. E questa è la storia di come sia riuscito a popalizzare due icone assolute delle due ruote.

Facciamo un passo indietro e definiamo il neologismo azzardatamente italianizzato: popalizzare, qui, sta per “rappresentare in chiave pop”, nell’accezione più alta del termine. Pop come popolare, immediatamente comprensibile. Parliamo della celebrazione di un concetto che vale la pena condividere con tutti, come le vere passioni. Ecco, in questo Stefano ha un talento puro e irrefrenabile.

La sua produzione artistica si basa su una tecnica unica che prima di lui non esisteva e di cui, tra l’altro, gli è stata riconosciuta la paternità a livello internazionale. Stefano impiega tessuti provenienti dall’abbigliamento per realizzare opere d’arte. Acquista capi già confezionati come felpe, T-shirt e vestiti, tutti second hand ovviamente, nati con un’altra destinazione d’uso e offre loro un’altra chance, allungandone il ciclo di vita e sostenendo l’economia circolare. Così ogni tessuto rinasce, diventando parte integrante e indispensabile di una visione che si traduce in immagine. “Lo sappiamo tutti com’è, no?”, dice. “Compri una maglietta, la usi per un po’, poi ti stanca e la butti. Non SERVE più. A me invece piace l’idea che attraverso l’arte assuma tutto un altro significato: non serva, ma sia. E diventi eterna”.

Ma com’è scoccata la scintilla tra l’arte di Bressani e il mondo dei motori?

“Il legame tra la mia produzione artistica e il mondo dell’automotive è nato grazie a una 500 del ’69 che ho avuto in garage. È stata proprio lei, icona pop per antonomasia, a ispirarmi e ad aprirmi le porte del Museo Multimediale della Fiat 500 prima e del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino poi. Il MAUTO di Torino è bellissimo, è il primo museo di automobili al mondo. Per darti un’idea, viene prima di quello di Los Angeles. Insomma, una personale proprio qui non è cosa da poco. Era il 2014. Da lì, non mi sono più fermato”.

In realtà, se doveste fare un salto al Museo Piaggio di Pontedera, gita che vi consigliamo caldamente, potreste imbattervi in un’altra produzione di Bressani risalente al 2012 e dedicata, ça va sans dire, a Vespa 50. Altra icona, indubbiamente pop. Il mondo delle due ruote Bressani lo conosce bene. Da motociclista e iper appassionato di fuoristrada l’ha sempre vissuto, lo vive e lo vivrà.

Ma a incuriosirmi mentre parlo con lui è la sua idea di pop.

“Te la dico tutta? All’inizio vedevo come un limite il fatto di essere targhettizzato come artista pop. Sentivo di avere molte altre possibilità anche in ambiti diversi. Ma la verità è che pop lo è la mia tecnica. Lo è il risultato a livello visivo, perché non ci sono sfumature. Sono tutte campiture di colori pieni. In fondo, comunque, ciò che mi interessa è il concetto. E se attraverso il linguaggio pop posso esprimermi spaziando dalla moda al design, dalla musica al food, è un valore aggiunto. Tutto ciò che colpisce l’occhio umano è riproducibile con stoffa e chiodi. Ma torno sul concetto. Mi piace spiegarlo, tradurne le incoerenze perché ovviamente nessun altro un domani lo potrà cogliere completamente se non viene tramandato per com'era originariamente”.

Allora veniamo a noi, a Franco Picco e a Tony Cairoli, due idoli assoluti del motorsport che Bressani ha reso arte. Quella dedicata a Picco, alla sua carriera straordinaria, alle 29 partecipazioni alla Dakar e alle due vittorie al Rally dei Faraoni è una scultura vestita che rappresenta una testa con i colori del deserto.

“La Testa d’Artista di Franco Picco ha un senso ben preciso. È un’icona che non ha sesso, non ha età, fisionomia o religione. È la scatola nera dell’uomo che raccoglie i dati provenienti dai cinque sensi. Ne abbiamo cinque, ma usarne vari contemporaneamente è delizia di pochi. Ecco, i piloti come Picco lo fanno. È un’opera che voleva essere un premio. Le coppe, quando sono tante, dopo un po’ finiscono in cantina. Una scultura acquista valore nel tempo, sottolineando implicitamente proprio il valore di quella vittoria. Lui negli Anni 80 era il re del deserto e ho voluto dare un contributo per aiutare a mantenere viva quell’immagine, che nelle nuove generazioni probabilmente si è un po’ persa”.

E Cairoli?

“Lui ha raccolto idealmente il testimone dei miei personali miti dakariani Anni 80 e 90. È il nuovo campione. Altra disciplina, stesso effetto icona. Quindi, partendo da una delle sue immagini più blasonate e mantenendo il concetto della Testa d’Artista, ho pensato di valorizzare la fisionomia del casco di Tony, che quella testa l’ha protetta per un’intera carriera. Quando gliel’ho consegnata è rimasto davvero stupito”.

 

I miti, questi miti, vanno celebrati. 

“Da un lato mi fa sorridere il fatto che personalmente, a parte loro, non ho mai avuto grandi miti nella storia della mia vita. Secondo me, una cosa se la fai la fai tu, non ammiri qualcun altro che la fa. Oggi questa percezione è molto cambiata. Le nuove generazioni guardano gli influencer, guardano chi gioca ai videogames. Guardano e ammirano, anche se a volte dall’altra parte c’è il nulla. C’è passività. Qualcuno ha un’idea e gli altri, al massimo, la imitano. È la generazione Switch & Swipe, quella del “non mi piace, passo oltre”, cambio in una frazione di secondo e posso farlo a costo zero. Ma la vita reale, poi, funziona in modo un po’ diverso…”.

 

La sua vita, quella di Stefano, diversa lo è di sicuro. Oltre alla sua produzione personale, attualmente Bressani ha un grosso progetto per BMW che prenderà vita presso la House of BMW a metà luglio e una mostra dedicata ai supereroi dal titolo Hyper Heroes, che a settembre sarà a Venezia durante il Festival del Cinema. Al suo attivo c’è anche una linea di abbigliamento da cross caratterizzata dalla fantasia Maliumbas Skultoflower da lui creata (la sua particolarità è racchiudere tutti i colori ufficiali delle case moto che corrono il mondiale). E il desiderio di realizzare un’opera dedicata a Valentino Rossi e una al mondo della Formula 1.

Per continuare a celebrare il mito.