La sabbia è un’idea come un’altra. È nella testa, per finire negli occhi, fra le dita. Nei carburatori. Può scorrere finissima, un granello dopo l’altro, per levigare l’anima, gli ingranaggi. Oppure trascinare d’impeto uomini, donne e sentimenti come il Ghibli. Sterrare è umano, diceva una pubblicità. E non sempre è necessario farlo con una nave del deserto al Rally Dakar, o saltando le dune del Faraoni – per quanto piacerebbe, eccome. La sabbia è un miraggio anche quando, al mattino, apri la finestra e tutto ciò che appare è il palazzo di fronte avvolto dal grigiore di gennaio. Se ne sono resi conto anche i Costruttori, che hanno cominciato a proporre super e hypercar da offroad. Improbabili? Non più delle spiaggine, che a volte con il Sahara si sono misurate davvero e con successo. Ecco sette auto che non ti aspetti – più la solita intrusa a due ruote – per fare quello che hai sempre voluto, ma forse non hai mai davvero osato.

Porsche 911 Dakar

Ne costruiranno solo 2.500 per saziare la fame di deserto che, di colpo, ha impolverato la clientela cashmerista delle supercar. Tutti, o quasi, la vorranno nel wrapping bicolore bianco/blu Genziana tipo 911 Rothmans, che portò la prima vittoria assoluta per Porsche alla Paris-Dakar del 1984 e, in dote, anche la trazione integrale. La 911 Dakar è più alta di 50 mm rispetto a una Carrera con assetto sportivo, altri 30 si aggiungono grazie al sistema alzatelaio di serie. Insomma, siamo a livelli SUV. Così impostata, può volare fino a 170 km/h in fuoristrada. Il motore è di quelli che spazzano la pista: il sei cilindri biturbo da 3 litri sprizza 480 cv, con coppia massima di 570 Nm. Può essere ordinata subito (che aspettate?) a 230.900 euro, più 26.718 per il pacchetto Rallye Design.

Lamborghini Huracán Sterrato

Poteva forse sottrarsi Automobili Lamborghini, precursore del SUV con la LM002, la "Rambo Lambo"? Presentata all’Art Basel di Miami Beach, la Huracán Sterrato è progettata per divertire ed esagerare anche quando finisce l’asfalto. La modalità Rally bada alla guida in condizioni di bassa aderenza, per un controllo perfetto. Anche qui l’altezza da terra sale, di 44 mm rispetto alla Huracán Evo; mentre le carreggiate si allargano di 30 e 34 mm. A proteggere il corpo macchina pensano la slitta sottoscocca, i brancardi rinforzati, il diffusore posteriore e i robusti passaruota. I muscoli? Motore V10 di 5.2 litri in versione 610 cv e 560 Nm di coppia a 6,500 giri, cambio doppia frizione a sette marce, trasmissione integrale elettronica con differenziale autobloccante meccanico posteriore. Su sabbia e sterrato arriva ad accelerare da zero a cento in 3,4 secondi, per raggiungere i 260 orari. Quattro volte lo Scirocco più violento.

Land Rover IIA SAS "Pink Panther"

Qui si entra nella mitologia boomer, per ricordare che le auto da deserto "heavy duty" hanno origini militari. La Pantera Rosa, "Pinkie" per i commandos del British Special Air Service, nacque nel 1968 quando il Ministero della difesa di Sua Maestà comprò 72 Land Rover 2A a passo lungo, le 109. Obiettivo: muovere rapidamente su robuste 4x4 le operazioni di guerra dei temibili SAS nel quadrante mediorientale. Le Land Rover furono preparate dalla Marshall of Cambridge per adattarle alle esigenze da raid. Quindi quattro serbatoi da 100 galloni imperiali (450 litri), telaio e sospensioni rinforzati, gomme da sabbia, protezioni del differenziale, fanali supplementari, mitragliatori, lanciagranate. No porte laterali, parabrezza, tetto: si viaggiava come su una slitta, pronti a seminare morte. Perché un colore così lezioso come il rosa, allora? Scoprirono che era il più efficace per mimetizzarsi nel deserto, in particolare all'alba e al tramonto. Difatti era accaduto che la Royal Air Force avesse dipinto un aereo di rosa per renderlo più visibile, ma una volta precipitato fra le sabbie e le rocce fu impossibile da ritrovare. Capito? Ovviamente le Pinkies sono il Sacro Graal dei maniaci delle Landies.

BMC Mini Moke

Ci crediate o meno, anche la Mini Moke fu commissionata nel 1959 per superare guadi, portare ordini, essere paracadutata sui campi di battaglia. Una vitaccia. Non faceva per lei. Meglio le mollezze di Saint-Tropez e Malibu, dove finì per essere guidata da Brigitte Bardot, i Beach Boys, i Beatles e altre celebrità degli anni 60. La verità è che alla Mini Moke mancava il fisico per essere arruolata. Riproposta in versione civile, lontana dalle piogge di quell'isola triste nell'Atlantico, diventò un fenomeno per il tempo libero e un'icona quasi come la Mini. Ne costruirono 50.000 fra il 1964 e il '92, con scocca d'acciaio portante, motore da 850cc a trazione integrale e 4 marce. Ci si sta in quattro, abbastanza comodi per divertirsi a raggiungere le spiagge più remote, o per utilizzarla come tender per fare la spola fra lo yacht e la villa al mare. L'anno scorso il marchio Moke International, che dal 2018 è tornata a costruirle tali e quali in Inghilterra, ha lanciato il primo, inevitabile modello elettrico.

Citroën Mehari

A proposito di spiaggine da Costa Azzurra, può esistere al mondo qualcosa di più divertente di una vasca di vetroresina appoggiata su quattro ruote? Che domande. Ecco perché la Mini Moke era seconda soltanto alla Mehari. Noblesse oblige, per una macchinetta chiamata con il nome arabo del dromedario da sella ed è considerata patrimonio nazionale della cultura pop francese. L’idea di costruirla fu dell'avventuroso marchese Roland de la Poype. Alla fine dell'ultima guerra mondiale si trovò a gestire un’industria di plastiche che aveva tra i suoi clienti proprio la Citroën. Dal progetto uscì una 2CV in bikini, una cabrio a 2 porte e 2 posti più 2, grazie alla buca posteriore e ai sedili pieghevoli. Volendo poteva diventare topless, bastava abbattere il parabrezza e sganciare gli archi superiori su cui si fissava il tettuccio di tela. Più facile di così. Presentata nel 1968 e costruita fino all'87 in 150.000 pezzi, la Mehari ha dato vita a tutto un mondo di passione. E la sabbia del deserto l'ha assaggiata davvero: in versione 4x4 ha servito l'Armée francese anche in versione parà, mentre dieci di esse furono le ambulanze volanti della Paris-Dakar 1980.

Meyers Manx Dune Buggy

La verità è che nessuno aveva idea di come si costruisse un'autentica auto da spiaggia, prima di Bruce Myers e della rivoluzione della monoscocca in vetroresina, mutuata dalla nautica. Nata nel mare per la sabbia, californiana come il surf e gli hot rod, la prima Dune Buggy prese forma nel garage di Meyers a Newport Beach, Los Angeles. Le costruì fino al '71 sul pianale accorciato dei VW Beetle, le "surfwagen". Curiosamente, il nome è un omaggio alle leggendarie moto Norton Manx, che a quei tempi dicevano ancora la loro al Tourist Trophy. Il Maggiolino forniva i motori a 4 cilindri contrapposti, da 1.2 a 1.6 litri. E sulla sabbia la Meyers Manx si dava parecchio da fare, nonostante non fosse neppure a trazione integrale. Diede filo da torcere all'altrettanto famoso Baja Bug, il Maggiolino con le gomme da jeep.

La Manx diventò famosa lasciandosi dietro tutti alla massacrante maratona offroad Mexican 1000 del 1967. La vittoria le procurò la prima pagina di Hot Rod Magazine, rivista avidamente letta da un certo Steve McQueen. Finì che ne volle guidare una personalizzata sulle dune, in una celebre sequenza del film "Il Caso Thomas Crown". Come sempre, esagerò: la sua è spinta da un flat six Chevrolet Corvair da 2.4 litri, posizionato a sbalzo oltre l’asse posteriore. Neppure la Manx è sfuggita al destino degli ioni di litio, resuscitata alla spina dalla Meyers un paio d'anni fa.

Volkswagen ID Buggy

A proposito di Baja Bug e di batterie, anche la Volkswagen aveva cullato per un certo periodo l'idea di un maggiolino tutto matto e tutto elettrico. All'ultimo Salone di Ginevra del 2019 aveva presentato la Id. Buggy, concept car biposto basata sulla piattaforma modulare elettrica MEB. Progettata dalla startup della VW con l'azienda tedesca e.GO Mobile, sembrava poter approdare alla costruzione in serie limitata. Anche perché in contemporanea stava diventando una realtà l'Id. BuzCioè il van elettrico che ha resuscitato il Bulli, un altro mito della California degli anni Sessanta. Invece nein, nichts. E dire che le prestazioni dichiarate sarebbero piaciute a McQueen, per quanto ammutolite: velocità limitata a 160 km/h, da zero a cento in 7,2 secondi. VW aveva pensato anche di dotarla di gommazze offroad, protezioni, roll bar e interni a prova di acqua, polvere e sabbia. Chissà, magari un domani...

L'intrusa: Motozodiaco Tuareg 250

"Come with me for fun, in my buggy...". Avete presente gli Oliver Onions, quelli della colonna sonora di "... Altrimenti ci arrabbiamo!" del '74. Nella sequenza del duello nel bosco, Bud Spencer è in sella a una motina che, inquadrata dal basso, sembra lui a due ruote. Mancava solo la barba alla Motozodiaco Tuareg 250, con quelle gommone a Toblerone potenti come uno schiaffone a mano aperta. Fu costruita e commercializzata dal 1973 al '78 dalla Motozodiaco, la piccola azienda di un fantasioso ed esuberante imprenditore dal nome Mario Zodiaco. L'uomo che nel 1976, praticamente dal nulla, s'inventò il Motor Show di Bologna. La sua Autozodiaco costruiva già le dune buggy a imitazione Meyers Manx. Durante uno dei suoi viaggi d’affari in California, il bolognese notò un set di pneumatici Goodyear obesi. Decise di farli girare da un motore 2 tempi tedesco da tosaerba, con tanto di avviamento a strappo e il variatore di velocità. Risultato: la Motozodiaco, una vera buggy a due ruote che può toccare i cento orari. Ne furono costruite un centinaio, oggi ne sopravvivono pochissime nelle condizioni originali, ricercate dai cultori di Bud Spencer e Terence Hill. Sapevatelo: quella del film era stata prestata dal cantante Fred Bongusto. Da "Una rotonda sul mare" alla sabbia, è un attimo.