C’era un cuore di panna per tutti, o quasi tutti, a dolcificare l’estenuante tiramolla sentimentale sulle spiagge e fra i monti delle vacanze. In molti degli ex ragazzi e ragazze di allora batte e si scioglie ancora, sotto la glassa della disillusione dell’età adulta. Sì, odio l’estate, scandisce con classe insuperabile il classico di Bruno Martino. L’estate è la stagione più crudele, perché sa mentire come nessuna. E i ricordi non sono da meno. Qualche volta il languore di quello che è stato, o non è stato ma poteva essere, riesce ancora far perdere un battito di sistole ripensando ai giorni e alle notti movimentate dagli ormoni e dai vagabondaggi in auto. Che, i ventenni senza patente possono solo immaginarlo, era veicolo di libertà e d’esplorazione incosciente ed empirica, club privé e alcova – in due è amore, in tre o quattro un party. Se avessero potuto parlare, quei sedili schiacciati con foga. Probabilmente si sarebbero scambiati anche delle gran risate. E ora?
La chiamano estate, quest’estate mild hybrid… Dunque perché non riallacciare abbracci mai del tutto sciolti ripresentandosi da lei, o da lui, al volante della stessa macchina venti trenta quarant’anni dopo, istigati dalla mezz’età e con la complicità dei social? Sarebbe un colpo di teatro proibito, in grado di schiudere il più sorpreso dei sorrisi e chissà cos’altro. Non dovreste neppure spendere molto, fuori dall’ossessione e dalle speculazioni del collezionismo youngtimer. Dipende giusto dallo stabilimento balneare che frequentavate, o dall’auto che riuscivate a fregare a papà anche per una sola, indimenticabile notte.

Fiat Ritmo Cabrio
L’avevate ereditata di terza mano dal fratello maggiore ed era vecchia già a metà degli anni Ottanta, nonostante Bertone l’avesse costruita fino al 1987. Pazienza: rispetto alla berlina chiusa aveva, se non altro, una marcia in più. Non è un modo di dire: sotto il cofano sbatacchiava il quattro cilindri millecinque della Ritmo Super, 85 cavalli, dieci in più rispetto alla prima serie. Più avanti si sarebbero eretti a ben 105 con il 1.6 bialbero della versione 100 Super. Anche le tinte in listino ci provavano, e voi con loro, a farsi piacere tra il Rosso pastello, il Marrone Bruciato e l’Azzurrite. Il massimo sarebbe ritrovare una “S” o una Palinuro bicolore, sempre con meccanica Super 85, i quattro fanali e il fregio Bertone, ma qui si va già sull’esoterico. Si badi al sodo.

VW Golf II e III serie
Ecco, mentre si annaspava in Ritmo Cabrio, il fratello maggiore di cui sopra si era programmato i successivi cinque anni di vita e di rate per una Golf. Che si trattasse di una seconda generazione negli anni Ottanta, o una terza dal 1991 in poi, era il modo migliore per accostare al marciapiede giusto. Meglio ancora se sportiva tre porte, o in versione cabrio, che è pur sempre il passaporto dell’estate. GTI o meno, la Golf ha scolpito sul tessuto degli interni la sua fama di “hot hatch” per la capacità di attrarre, rassicurare e sedurre al tempo stesso. Sia con quelle di seconda generazione, sia con una terza in buone condizioni ve la cavate al prezzo di un luglio low cost con famiglia. Evadete.

VW Maggiolone Cabrio
Sempre a proposito di macchine del popolo tedesche e di armi di seduzione di massa, ancora negli anni 80 il caro, vecchio bacherozzo nero come il peccato, ma con la capote immacolata, aveva il suo dannato perché. Nella marea indistinta di ritmi sintetici della “italo disco” venata dei vomitevoli colori pastello alla Naj Oleari, il sobrio Maggiolone milletrè spandeva un’allure intellettuale, quasi fatale e un po’ fané. Insomma, se la poteva giocare il playboy già avanti con l’età come il Raoul di “Bianco, rosso e Verdone”, così come l’universitario con la cassetta dei Depeche Mode o dei New Order inchiodata nella Blaupunkt. Lasciate perdere i modelli degli anni Sessanta, basta il Maggiolone costruito dalla Karmann fino al 1980 – e non lo regalano affatto. Solo, un’accortezza: negli ultimi anni si è trasformato in un classico per matrimoni. Errare è umano, perseverare…

Citroën 2 CV6 Charleston
Ammettetelo, quando una ragazza si presentava in Charleston, le pupille si accendevano come fanali. Spesso era il biglietto da visita di una tipa intelligente e originale, smarcata dalle convenzioni e con uno spiccato gusto estetico. Nel caso, poteva essere quella giusta per smuovere una situazione di stallo. Perché con le sue memorabili sospensioni, la 2CV era la perfetta metafora di un innamoramento estivo: quando in una curva presa troppo audacemente la situazione sembrava perduta, riprendeva miracolosamente il suo equilibrio. Ah, era bella e abbordabile, la Charleston. Nelle Kodacolor delle vacanze di chi è stato ragazzo negli Ottanta, compariva nel suo raffinato bicolore contornata da visi sorridenti e presagi di contorsioni yoga con il tettuccio aperto.

Peugeot 205/306 Roland Garros
Per chi aveva avuto la fortuna di averla ricevuta in regalo grazie alla matura vincente, o riusciva a distrarla alla madre, la 205 e poi la 306 Roland Garros erano un perfetto cavallo di Troia. Difficile impedire alla figlia, o al figlio, di uscire con chi si presentava con l’accento così impeccabilmente francese. Magari abbinato a una polo Lacoste bianca (altra liaison fra la 205 e il glamour) e un sorriso smagliante, il verde bottiglia metallizzato della carrozzeria era in grado di insinuarsi nel più elitario dei circoli; e non parliamo solo di tennis, dato il nome del prestigioso torneo parigino. Non era granché ospitale la 205 – in questo appena meglio la 306 – ma pur sempre scoperta: quindi sulla terra battuta se la giocava alla grande. Anche quella dell’uliveto dove, gliel’avevate giurato, non passava mai nessuno. Tranne il solito contadino che dal trattore aveva decretato gioco, partita e incontro sul più bello.

Citroën CX Pallas
Parliamoci chiaro: quando c’era da infrattarsi andava bene tutto, anche il Pandino o la Seicento di mammà. Ma vi siete mai lasciati andare su una Citroën degli anni Settanta? Sì? Allora sapete di cosa stiamo parlando. Concepita con l’ingrato compito di succedere nientemeno che a una Déesse, la dea DS che fu giudicata l’auto più affascinante al mondo, il bello della CX, Auto dell’Anno 1975, è che fino a non troppo tempo fa non era un classico: semplicemente, una macchina vecchia. Quindi a portata di mano per chi, incurante della linea invecchiata precocemente, poteva spostarsi con il massimo del comfort e della raffinatezza degli interni avanzando qualcosa per la pizza. Reclinati i sedili, o semplicemente accomodati sul divano posteriore, la CX 2400 Pallas era una via di mezzo fra un salottino e una camera di motel. Bastava solo cogliere lo spirito del momento. Oggi le quotazioni sono in rapida risalita: per ritrovarne una in ottime condizioni non bastano diecimila euro.

Mercedes 190 W201
Anche la prima compatta di Stoccarda, la “Baby Benz” degli anni Ottanta e Novanta, è rimasta al riparo della follia speculativa del mondo collezionistico. La vera differenza è che, ai tempi, per permetterti di spalancare la portiera destra della Mercedes 190 dinanzi l’ambìta preda, o eri figlio di papà, o l’avevi chiesta in prestito – se non rubata – al medesimo. No, non era troppo marziale per i vent’anni. Neppure troppo poco Mercedes: un recente studio ha appurato che, una volta sul sedile della 190 E, il grado di umidità dell’intimo tendesse impercettibilmente ad aumentare. Per quanto più rigidi e sagomati rispetto alle precedenti Classe S, i sedili si confermavano all’altezza della situazione. Per risparmiare (tanto basta l’effetto-sorpresa, giusto?) puntate sulle 190 2.3 e 2.6: le quotazioni restano basse, anche perché fino a pochissimo tempo fa la 190 è stata circondata della nefasta aura del campo nomadi. Ma per chi ci sapeva fare, sapeva essere roulotte.