Il Rally è la risposta più eccentrica del mondo dei motori agli sport di contatto. Non per le botte tra i concorrenti, rarissime e solitamente legate a qualche pasticciaccio brutto di un pilota che ha sbagliato da solo, piantandosi in una curva e rimanendo a intralciare il passaggio. È per la vicinanza del pubblico alle vetture, quello stare nella zona di pericolo per cui anche nei gadget che vengono regalati nei paddock c’è scritto “Motorsport is Dangerous”. Quella possibilità – giocata sul filo sottile tra il rispetto creativo delle istruzioni dei commissari e l’illegalità più anarchica – di sporgersi fino a sentire lo spostamento d’aria di una vettura che vola a tutta birra 3 metri sopra il terreno o che sta baciando il muretto di un tornante stretto a cento chilometri l’ora.

Una sensazione che ben conoscono gli esagitati supporter di Paolo Diana, il rallysta allergico alle classifiche che al grido “Ti Voglio Racing” si è ritagliato nel cuore dei fan un posto grande come quello dei grandi campioni iridati, una sfiammata alla volta.

Paolo Diana, weekend warrior perennemente di traverso.

C’è un ragazzo di quarantasette anni che ama i rally. Di gare ne ha vinte tante, ma non abbastanza da portarsi a casa un titolo italiano. Figurarsi il mondiale. Eppure, se questo ragazzo si trova nel paddock di una gara e vicino a lui ci sono leggende come Miki Biasion, Juha Kankkunen o Arturo Merzario succede che la media delle persone che lo ferma per una foto o un autografo non è tanto lontana da quella di questi enormi mostri sacri.

Magari non ci sono scene di padri che gli chiedono di prendere il figlio in braccio per ricreare la stessa foto scattata trent’anni prima ad un Montecarlo (lo status papale di Biasion è oggettivo, period.), però quel flusso costante di gente con la maglia Diana 31 che grida continuamente “Ti voglio Racing” e idolatra un pilota che iridato non è ti spinge ad approfondire.

Ti ritrovi così immerso nel culto per Paolo Diana, che guida le auto di traverso come nelle puntate di Hazzard e viene invitato in tutta Europa a regalare un po’ di sana ignoranza a trazione posteriore. Una star senza fronzoli, che non è cambiata molto da quando faceva due lavori per pagarsi le modifiche alla macchina e che ancora oggi corre nei weekend e nei giorni di ferie, per sfuggire al logorio della vita moderna e dare sfogo ad una passione viscerale, genuina e senza compromessi.

Uno che non fa drammi anche quando la situazione gli darebbe qualche attenuante. Come al ritiro per una rottura dall’edizione 2023 del Rally Legend: mentre tanti suoi amici erano sul podio a prendere coppe, lui aveva già caricato macchina, gomme e attrezzi sul camion e si concentrava sul barbecue, sereno come al lunedì di Pasquetta.

Sì al traverso, no al podio. Detta così sembra una bella storia di passione con tratti comuni alle altre che avete trovato su Caesar Salad durante questo primo anno della rubrica, dove l’impegno e la voglia di dare il massimo portano prevedibilmente a grandi risultati.

Succede anche a Paolo Diana, quando a inizio millennio inizia a prendere le misure con le prime partecipazioni al Rally Costa Romagnola ed al Rally del Titano. Prime volte a cui seguono vittorie, a cui ne seguono altre ancora e una Coppa CSAI nel Campionato Italiano Terra nella classifica per due ruote motrici, vinta nel 2012. È qui però che la storia prende una piega diversa o, meglio, l’ha presa fin dall’inizio.

Perché a Paolo delle coppe e dei campionati non importa niente.

Diana fa infatti quello che tutti diciamo in giro ma sconfessiamo prontamente all’atto pratico. Corre per il piacere di mettere l’auto di traverso e pennellare le curve, placando la sete di traversi che gli ha fatto venire il babbo portandolo da piccolissimo a vedere gare come il Rally Legend. Non per prendere dei pollicioni in alto sui social media o per vedere il proprio nome in cima al tabellone dei tempi.

Una passione pura a tal punto che, quando un team gli mise a disposizione una Clio R3 per una stagione del campionato italiano e dopo le prime gare le cose andarono molto bene, lui chiese di trovargli un sostituto. Tutta quella pressione per la posizione in classifica gli toglieva il divertimento di guidare. Se non è personalità questa, noi alziamo le mani.

Eroe del Legend, famoso in tutta Europa. Ed è forse proprio il Rally Legend, quella gara che andava a vedere da bambino, che lo ha consacrato idolo delle folle. Una competizione seguitissima a cui partecipa quasi ininterrottamente dal 2007, spesso neppure in classifica generale. Eh sì, perché quando Diana parla del suo impegno nelle corse la parola che dice più spesso è show.

Il motivo è che quasi sempre, soprattutto al Legend, lui parte come apripista o nella categoria delle show car, libere dai vincoli regolamentari e non condannate ad una guida meno spettacolare per essere parsimoniose sul tempo delle prove speciali.

Negli stage della gara di San Marino, sulle strade della gioventù per il pilota riminese, Paolo dà il meglio di sé: sfiamma, scoda, salta, qualche volta si gira in una curva e inizia a roteare su se stesso 3-4 volte finché non ritrova la rotta. E i suoi fan – e non solo loro – perdono completamente la testa.

Come per un George Best escluso della rosa dei titolari per bravate, ma che infiamma gli spalti palleggiando in mocassini. Ecco, Paolo Diana a quelli che pagano per andarlo a vedere fa quell’effetto lì. Una specie di delirio di massa sconosciuto al pubblico più superficiale, ma che tra gli addetti ai lavori e gli appassionati veri ormai non stupisce più di tanto. A tal punto che ci sono dei pazzi che quest’anno si sono fatti ore e ore di pullman notturno da Catania a San Marino per urlare a squarciagola al passaggio della sua 131 Racing con le quattro ruote per aria e fiammate demoniache in uscita dai tubi di scappamento.

Scene con un pathos che vedi solo per piloti con un palmares da invidia, gente da Formula 1 o MotoGP, o che ti riportano alle folle davanti all’albergo dei Take That negli anni Novanta. Difficile da raccontare a chi non lo vede dal vivo, se non con paragoni iperbolici. Da George Best del motorsport, appunto.

La 131 di Iron Man. E se lo stile di guida di Paolo lo ha reso famoso in giro per l’Europa: parte di quella notorietà arriva dalla sua compagna in quasi tutte le competizioni a cui prende parte, in Italia e all’estero. È la sua riconoscibilissima Fiat 131 Racing, a cui la gente fa la ola quando arriva da lontano per scivolare sui tornanti in derapata.

Di certo non la vettura in cima alla lista dei desideri per uno che nei primi anni duemila si avvicinava al mondo dei rally. Mentre infatti la sorella 131 Abarth è riuscita a conquistare tre mondiali costruttori, una Coppa FIA Piloti ed un mondiale piloti tra il 1976 e il 1982, la Racing era un allestimento sportivo nell’estetica, ma molto più vicino alla meno gloriosa Mirafiori di serie.

Se già le prove dei giornali dell’epoca non erano particolarmente entusiastiche, Paolo non è più generoso. “Non era un granché, però costava poco e allo sfascio trovavi una marea di ricambi”. Diana però ci lavora di notte, in garage come nella scena madre di qualche buon film di motori. La personalizza e la snatura, senza troppo ossequio verso le fiches di omologazione per il campionato. Esclusa quindi da molte competizioni per insubordinazione. Chissenefrega. Paolo corre per divertirsi.

Ed è così che al posteriore trova posto un più performante ponte di una M3 E30, il tunnel più grande ospita cambio sequenziale e freno idraulico, i freni maggiorati arrivano da una Peugeot 207 e via discorrendo. Una macchina che è evoluta negli anni, un po’ come l’armatura di Iron Man nei film della Marvel (anche se Paolo ultimamente corre con la tuta di Capitan America). Con una differenza, sostanziale. In questa storia non c’è l’intelligenza artificiale di Jarvis a coordinare utensili fantascientifici e nanotecnologie. Il miracolo avviene grazie agli amici di Paolo, quelli di sempre cresciuti a piada crudo-squacquerone-rucola che dopo una nottata con lui a preparare la macchina per la gara del giorno dopo condividono pizze ormai fredde direttamente dal cartone, seduti sul banco da lavoro.

Choose life. Insomma, la storia di Paolo Diana è la trasposizione motoristica più calzante del monologo iniziale di Trainspotting. Basta sostituire l’alloro dei campionati e le sicurezze di una carriera vissuta nel rispetto delle omologazioni e della dinamica “fai-punti-vinci-campionati-prendi-sponsor” al maxi-televisore del ca**o e al mutuo a tasso fisso.

Per fortuna – nostra – Paolo ha scelto la vita.

Il suo modo di godersi la cosa più eccitante che puoi fare al mondo (guidare, maliziosetti…) per il puro piacere di andare di traverso, fare le curve con le ruote che puntano al contrario rispetto alla traiettoria da seguire e con la gente che grida il tuo nome non perché arriverai primo, ma perché li fai godere. Pensateci la prossima volta che tirerete fuori l’auto o la moto solo per una foto da postare.