La macchina del tempo esiste, si trova a Milano ed è una moto. Unisce il 1986 al 2022 in un paio di metri, quelli che separano il muso dalla coda. E lo fa nel nome di un mito assoluto: Top Gun.
Stiamo un secondo sul film che 37 anni fa ha proiettato Tom Cruise nel gotha delle star di Hollywood ed è ricordato per tre oggetti-icona: i Ray-Ban a goccia, il giubbotto Avirex G-1 coperto di patch dell’aviazione americana e la Kawasaki Ninja GPZ-900 sulla quale Mav sembra decollare, da solo o in compagnia di Kelly McGillis (anche lei, diciamolo, icona mica male ai tempi…).

Più o meno gli stessi oggetti ritornano nel sequel del 2022, Top Gun Maverick. Pete “Maverick” Mitchell (Tom, ovviamente) vola sempre come un Dio e continua a indossare i Ray-Ban e il G-1. E sale ancora in sella alla GPZ-900, che in una delle prime scene libera da un telo dentro il suo hangar per farla sfrecciare come quattro decenni prima. Poi qualcosa cambia: la Ninja di quel tempo lascia il posto al bolide di oggi, la Kawasaki Ninja H2R. E dietro di lui non c’è più la bionda istruttrice di allora, ma una non meno iconica Jennifer Connelly, splendida cinquantenne.

Se in Maverick è palese, anche per ragioni narrative, il richiamo ai tempi che furono, nella moto milanese di cui abbiamo accennato all’inizio quello stesso richiamo è così esteticamente riuscito da trasformarla, appunto, in una perfetta macchina del tempo.

Guardi la coda, e sei nel presente; guardi il muso, e precipiti nel 1986. È un pezzo unico ed è il risultato di quasi 800 ore di lavoro e passione da parte di due fratelli, Filippo e Giacomo Tagliabue. La loro officina si chiama FGT, è a un passo dal Naviglio Grande ed è la sala parto di progetti speciali, più che di semplici customizzazioni. Ci tengono a dirlo i due fratelli, che ai tempi di Top Gun nemmeno erano nati: Filippo ha 32 anni, Giacomo 26. Ma appena hanno visto il trailer di Maverick, dove appaiono le due Ninja, si sono illuminati e hanno cominciato a pensare a una fusione delle due.

«Il trailer è uscito mentre stavo lavorando al restauro di una GPZ del tempo, e nel farlo pensavo che mi sarebbe piaciuto metterla insieme a quella di adesso. Il muso della vecchia mi piace molto, la coda un po’ meno», racconta Filippo, un metro e novanta di cortesia dietro due lenti da Clark Kent. «Però non potevo toccare quella sui cui lavoravo, così insieme a mio fratello ho pensato che potevamo unire i due modelli utilizzando il film come trait d’union».

La Kawasaki GPZ-900 del 1984 è una moto che ha scritto la storia del suo genere: appena prodotta era all’avanguardia ed è così riuscita che è stata aggiornata fino ai primi anni 2000. La Ninja H2R, 1000cc di cilindrata, è semplicemente la moto di serie (non omologata per uso stradale su strade pubbliche, ok…) più potente mai prodotta, nella sua versione più hard monta un compressore volumetrico e sviluppa serena serena 312 cavalli.
Insomma, la macchina del tempo creata da Filippo e Giacomo è totale: estetica sì, ma anche tanta meccanica.

«Sul piano estetico abbiamo voluto disegnare una linea temporale che partisse dall’anteriore Anni 80 per finire sul posteriore contemporaneo» dice Giacomo, più alto del fratello, ma non meno cortese, «quindi muso pesante davanti e coda rastremata dietro. Davanti l’unica vera modifica è stata la sostituzione delle frecce, che non ci piacevano, con delle alette in stampa 3D che svecchiano l’insieme. Abbiamo aggiornato la ciclistica sostituendo la forcella tradizionale con quella a steli rovesciati e utilizzando piastre dedicate ricavate dal pieno, disegnate e fatte realizzare da noi su nostre specifiche. E abbiamo montato un freno con doppia pinza radiale e pompa radiale, dischi da 320 al posto di quelli da 280 di serie».
I pezzi originali della H2R sono il telaietto, la carrozzeria, il forcellone con le sue plastiche e la ruota posteriore: su questi, i fratelli Tagliabue hanno messo una sella nuova, che sulla parte anteriore si conformasse alle forme Anni 80 del serbatoio e dei fianchetti, più piccoli rispetto al Ninja dell’86. Il tutto, come spiega Filippo, con un pensiero preciso e irrinunciabile: «Mantenere la linea tipica del GPZ, facendola scomparire nella parte posteriore. Kawasaki ci ha aiutato, perché i due modelli si sposano bene e permettono di mantenere una continuità tra la morbidezza del davanti e la spigolosità del posteriore».

A riportare chi osservi questo gioiello prepotentemente negli anni Ottanta provvedono le scelte cromatiche, quasi del tutto fedeli alla GPZ del primo Top Gun: rosso e nero, che però in questo caso sono divisi da una sottile linea bianca, con il rosso che occupa più spazio rispetto alla moto guidata dal giovane Tom. Come quella, serbatoio e fianchi sono ricoperti di adesivi militari americani (poi ci sono i loghi dei partner del progetto).
«Spezzoni di film e foto in rete ci hanno aiutato a ricostruire l’estetica esatta, ma va detto che ci sono in giro tantissime repliche di quella GPZ. Gli appassionati ti dicono che è proprio quella di Top Gun. Poi scopri che non è così. Invece è interessante dire che la moto del primo film non ha la colorazione ufficiale della 900 perché Kawasaki non la concesse. La verniciatura è della GPZ 750 Turbo, e questo ha tratto in inganno non pochi, che pensavano avessero usato quella moto lì».

Come dicevamo, la macchina del tempo è anche nel motore. La base è il vecchio 900, avvicinato alla concezione moderna da alcuni dettagli: tra tutti, la presenza del compressore volumetrico come sull’H2R. «Non abbiamo cercato la prestazione – aggiunge Filippo –, non ci interessava avere un mostro da sparo: il compressore serve per portare il vecchio motore verso l’oggi. Poi abbiamo lavorato sulle tecniche di produzione, con numerosi componenti stampati in 3D, dalle alette posteriori alle giunzioni del collettore di aspirazione, e altro ancora».

Questa moto unica non è ancora stata “bancata” (cioè provata sui rulli) e mancano alcuni dettagli per poterla considerare finita. Sarà proposta a dei collezionisti che potranno tranquillamente usarla in strada; in altre parole, non è fatta per stare in un garage. Ma non subito: «Ci fa piacere averla qui per godercela ancora un po’ – concludono i fratelli – anche se ci sono stati momenti in cui era diventata un’ossessione. Per due mesi non ci abbiamo messo mano, non ne potevamo più. Ma ora la soddisfazione che proviamo è davvero tanta».
Un po’ come alla 57esima visione di Top Gun, insomma. Provi sempre a cambiare canale, ma finisce inesorabilmente che te li ri-guardi tutti e due…