Ora, sentire discutere di Pop Art (o di arte in generale) uno come me potrebbe risultare quasi blasfemo. Un po’ come se un cantante trap si mettesse a parlare di musica. O una pornostar di castità. Risulterei poco credibile dai. D’altronde pure mia mamma pensa che io sia più a mio agio con un’accetta in mano in mezzo a un bosco piuttosto che davanti ad una tela con un pennello in mano.

E infatti non vi parlerò di arte. Ma di pop. Culture. Sul pop ho la mia idea e, per vostra immensa gioia, oggi ho voglia di raccontarvela. A modo mio, ovviamente.

Piccola parentesi culturale, che poi non si dica che non mi applico. Pop in realtà altro non è che il diminutivo di popolare e il termine si applica all’arte appunto, ma anche alla musica, all’edilizia e ad un altro centinaio di campi per identificare qualcosa che è pensato per i numeri e non per il singolo. Qualcosa di facile, di poco impegnativo, di “leggero”. A volte il termine è usato quasi come a sminuire. La parola pop è legata a doppio filo al consumismo di massa, ai modelli imposti al grande pubblico. Poi quei geniacci di Andy Warhol, Roy Lichtenstein o Keith Haring hanno cavalcato quell’onda e dato alla definizione pop un significato completamente diverso, sdoganando definitivamente il termine e declinandolo nella sua massima espressione artistica. L’arte per tutti, in sostanza.

Ok fine della parentesi artistica, ora ci versiamo una Coca-Cola e parliamo di cose serie.

Pop, dicevamo.

Cos’è pop per me? Premesso che ho dovuto fare una profonda ricerca introspettiva e togliermi la camicia a quadri, io che mi considero un integralista rock per definizione. Per me pop è popolare, certo, ma nella sua accezione più figa, alla fine. Pop è qualcosa che ha saputo scardinare le diffidenze, che è riuscito a colmare un vuoto, che ha saputo colpire il mercato o i consumatori con la precisione di uno sniper incazzato dei Marines, identificando e soddisfando un bisogno che le persone nemmeno sapevano di avere.

Il primo oggetto pop che mi viene in mente è la Fiat 500. E grazie al c@$$o direte voi, facile così. Facile sì, ma perché? Perché all’improvviso (complice il boom economico, certo) milioni di persone negli Anni 60 correvano nei concessionari Fiat a comprarsi quella che era praticamente una scatola di sardine a 4 ruote? Costava poco certo, consumava poco, era “simpatica” sicuramente. Ma non era comoda, non aveva bagagliaio e se non facevi doppietta il cambio grattava. E poi vogliamo parlare degli spaziosi interni? Chiedere a quelli che portano ancora le conseguenze fisiche dei contorsionismi fatti all’epoca, per regalarsi qualche fugace attimo di ludico piacere con la gentil donzella di turno in camporella…

E quindi perché è pop? Perché ha saputo creare il bisogno assoluto di averla. La compravano tutti: single, imprenditori, famiglie che caricavano di tutto sulla bagagliera per fantozziane vacanze al mare, donne in carriera, vip. Tutti hanno un genitore o un parente che l’ha avuta, qualcuno la custodisce ancora oggi gelosamente. Tutti la volevano, ne avevano improvvisamente bisogno. Era un po’ come le Chuck Taylor di Converse, che vedevi tanto ai piedi del ragazzino brufoloso all’uscita di scuola, quanto calzate dalla rockstar planetaria. Erano scomode, con la suola piatta, e dopo una giornata addosso puzzavano come una masnada di barbari dopo due giorni di battaglia contro i romani. Ma tutti le abbiamo desiderate e avute (e le portiamo tutt’ora).

Non potevamo farne a meno, costavano poco ed erano fighe, punto. Ecco la 500 è stata un po’ così: irrazionale, ma tremendamente pop, come un tormentone estivo che dura da 70 anni, come una canzone dei Dik Dik (lo so che le cantate a squarciagola in doccia, cari i miei intellettualoni della musica), come la Coca-Cola.

Se togliamo due ruote e rimaniamo nella stessa epoca, l’altro fenomeno di costume nazional popolare è stata sicuramente la Vespa e qua possiamo parlare veramente di un’opera d’arte, tanto che è esposta permanentemente al MoMa di New York quale simbolo del design italiano. Inventata da un ingegnere aeronautico che odiava le moto (tale Corradino D’Ascanio), fu la prima due ruote con scocca portante che dopo quasi 80 anni di onorata carriera è ancora oggi un mezzo attuale (senza contare che è ancora in produzione, anche se in plastica e senza marce).

Guardate ogni tanto lo specchietto retrovisore quando siete in moto, potrebbe capitarvi di essere sorpassati dal ragazzetto brufoloso con le Chuck Taylor che esce da scuola, lanciato a velocità supersoniche su uno di questi mezzi praticamente senza freni e con cambio a mano, magari con un terrificante kit Pinasco e scarico racing Simonini (la Vespa ha fatto e fa ancora oggi la fortuna di meccanici e preparatori). Mezzi capaci di prestazioni impressionanti dove l’unico sistema di sicurezza sono le preghiere prima della staccata. Pure SuperGiovane ci disturbava la pubblica quiete. La Vespa è appunto un’opera d’arte, ma per me è anche una tela sulla quale ognuno di noi può essere artista, sulla quale ognuno può lasciare il proprio segno, la propria firma e farla sua. È allo stesso tempo Pop ed Esclusiva e questo la dice lunga sul suo successo. C’è chi ci ha scritto una canzone, come il buon Cesare Cremonini con i suoi Lunapop, che 20 anni fa esatti fa è istantaneamente diventata un tormentone che ci perseguita ancora adesso.

Ma torniamo alle quattro ruote e facciamo un salto in terra teutonica. Ok, i nostri amici tedeschi non brillano per simpatia e gusto estetico in fatto di moda (NO, non riuscirete mai a farci digerire i calzini sotto i sandali e il borsello tipo controllore dell’atm, scordatevelo). Però hanno la birra buona, sanno far bene le auto e la musica elettronica e poi le ragazze tedesche ci hanno regalato estati indimenticabili al mare. Anche loro qualcosa di pop l’hanno partorito, addirittura ci hanno fatto un brand giocando proprio sul termine “popolare”.

Sì, sto parlando di Volkswagen, letteralmente “macchina del popolo”, appunto. L’idea era creare auto di grande diffusione, con costi abbordabili, pratiche e robuste. Beh, direi che sono stati bravini e hanno lanciato una serie di modelli che hanno fatto epoca. Il Maggiolino per cominciare, il T1 e T2 (i famosi furgoncini degli hippie), il Maggiolone e ovviamente la Golf, la più popolare delle berlinette medie.

Specifichiamo: è vero che l’ha disegnata un italiano (e non uno qualunque, stiamo parlando di Giorgetto Giugiaro), ma i tedeschi hanno tutto il merito di averla messa in produzione. Alzi la mano chi a 20 anni non ha desiderato averne una, magari una bella GTI o una cabrio. Ecco bisogna ammettere che con la Golf la Volkswagen ha creato un solco indelebile ed è diventata il riferimento per una serie di berlinette agili, sportive il giusto, sicure e pratiche. Per una ventina d’anni non ha avuto rivali, prima di essere raggiunta dalla cugina Audi A3, dalle amiche BMW Serie 1 e, in tempi più recenti, dalla Mercedes Classe A. Ma la Golf è la Golf, può sembrare un po’ fredda, magari peccare un po’ di personalità e di sfumature, ma è da sempre un perfetto esempio di ingegneria pop. Un po’ come gli album di musica elettronica tedesca: freddi, spigolosi, sicuramente poco emozionali, ma alzi la mano chi dopo un paio di minuti di ascolto non inizia a muoversi e a ballare con movenze robotiche sulle note dei sintetizzatori.

Per par condicio resto sempre nel paese dei crauti, anche questa volta togliendo 2 ruote. E quale può essere la più pop delle 2 ruote tedesche se non la BMW GS? La Muccona, la moto simbolo dell’efficienza e del rigore teutonico. Una moto capace di vincere la Dakar all’esordio, perfetta compagna di epiche avventure offroad, orgogliosa di essere considerata la moto da turismo per eccellenza e di trovarsi pure in cima alle classifiche di vendita da una decina d’anni almeno. Anche qui valgono i discorsi fatti in precedenza, molti la considerano la moto totale, tanto che oggi, oltre ai viaggiatori, c’è chi la usa pure al posto dello scooter per girare in centro città. Ci puoi vedere gente che ci vaga per il mondo, pazzi che la usano per l’Elefantentreffen o per i più impestati eventi di adventuring, coppie romantiche che ci fanno la scampagnata al mare la domenica, come yuppies in mocassino e giacca in antilope che ci vanno a fare l’aperitivo dopo lavoro. Ok, ammetto che adesso è un po’ inflazionata e forse ha perso un po’ l’anima da avventuriera degli esordi, ma rimane sempre un riferimento. Musicalmente parlando e restando in tema pop la paragono un po’ a Madonna: come lei è un’autentica icona, sempre sul pezzo da oltre 40 anni, sempre in cima alle classifiche, sempre attuale, sempre pop.

Last but not least, un’altra perla tutta italiana. La Ducati Monster. Quantocazzoerapop la Ducati Monster prima versione? Non aveva le prestazioni delle 916, non era comoda come una SS, zero protezione aerodinamica e sellino posteriore adatto solo al culo di una top model taglia 42. Ma quanto ci piaceva? Quanto ci abbiamo sbavato sopra a quella moto, quanto adoravamo lo sferragliare del desmo. Immaginavamo di passare per le vie delle città di mare in maglietta e calzoncini, casco aperto, scarichi Termignoni tonanti, a fare i ganzi davanti ai bar all’ora dell’aperitivo. O sognavamo di affrontare passi di montagna piegando fino a strusciare le orecchie a terra (poco importa se in realtà non girava in curva, manco fosse un dragster da quarto di miglio). La volevamo, punto, e non ci fregava niente di tutto il resto. Perché vuoi una Monster? Perché sì, ed era l’unica risposta sensata che potevi dare. Quella moto emanava carisma a badilate. Un po’ come Robbie Williams: non il più bello, non il più bravo, non la miglior voce, ma un vero animale da palco con una personalità esagerata che sopperiva a tutto il resto.

Ok, ora basta. Che con tutto ‘sto pop mi sta venendo una crisi glicemica e il mio nutrizionista poi si preoccupa. Non vorrei che a forza di parlarne andasse a finire che mi piace pure! Nel dubbio stappo una birra, mi infilo di nuovo la camicia a quadri, riprendo l’accetta e torno al mio amato rock, prima che sia troppo tardi…

O forse prima mi ascolto un po’ di questa playlist, và!

Stay Wheelerz