Questa è una storia che puzza di vodka, metanolo e guerra fredda. È una storia di gladiatori e armature, di piedi amputati e vecchi sciamani. Insomma, un casino tale che solo Guy Ritchie potrebbe farci un film.

Quando pensiamo alla Guerra Fredda la nostra mente ritorna prepotente al conflitto mai sopito tra la Nato e il Blocco Sovietico, alla storica rivalità tra Usa e Urss, agli intrighi di spie raccontati da Le Carrè e Fleming, ai carri armati che si fronteggiavano al check point Charlie a Berlino e alla crisi dei missili di Cuba nel ’62.

 

Ma c’era anche un’altra diatriba che ancora oggi divide gli appassionati, ossia la nascita dell’Ice Speedway. È quella stranissima disciplina che si corre con moto da speedway, appunto, ma con gomme chiodate, lanciate a 130 km/h su piste di ghiaccio lunghe dai 260 ai 425 mt, percorse senza freni in senso antiorario, guidate da pazzi scatenati che ad ogni contatto rischiano, quando va bene, l’amputazione di qualche arto.

Non è chiaro come tutto sia cominciato: qualcuno dice che la disciplina sia nata nei freddi inverni del Michigan, grazie a un’idea di Staten Lorenz nel 1975, una cinquantina d’anni dopo la nascita dello speedway vero e proprio, adattando le moto da terra con viti e chiodi sulle ruote per dare trazione sulla superficie ghiacciata e codificando le prime regole di quello che sarebbe poi diventato l’ICE (International Championship Event – World Racing Ice Championship).

Qualcun altro dice che i primi pionieri si sfidassero sui laghi ghiacciati sovietici fin dagli Anni 20, anche se le prime notizie di campionati più o meno regolari risalgono a fine Anni 50, primi ‘60, quando il regime organizzava le gare in vecchi ippodromi e il pubblico era composto da soldati dell’Armata Rossa che applaudevano a comando... I primi campionati erano, ovviamente, solo per i piloti sovietici, presto raggiunti da finlandesi, svedesi, cecoslovacchi, e successivamente tedeschi e olandesi.

Personalmente, sono più propenso a credere a quest’ultima ipotesi, non foss’altro per la coerenza delle date e per l’aura di gelido romanticismo che la stessa emana. L’immagine del pubblico di Togliattigrad (in realtà la città sul Volga si chiama proprio Togliatti) ebbro di vodka, che urla composto ed educato al passaggio dei propri beniamini è poesia per i nostalgici del Patto di Varsavia. Sembra una scena tratta dal Dottor Zivago. E poi dai, mica possono inventare tutto gli americani, eccheccazzo.

Fatto sta che sembra che il primo campionato mondiale sia datato 1966, ovviamente monopolizzato dai piloti sovietici, ed in particolare da Sergej “The Ice King” Tarabanko, autentica leggenda delle gare su ghiaccio, rimasto pressoché imbattuto fino alla fine degli Anni 70. Attualmente il principale campionato è sotto l’egida della FIM e si chiama Ice Speedway Gladiators, nome che non potrebbe essere più azzeccato per questi piloti. Perché ammettiamolo, ci vuole del fegato e una sana dose di incoscienza per provare a domare questi cavalli imbizzarriti che raggiungono i 100 km/h in curva e i 130 di top speed. Quasi tutti i motori (come nello speedway tradizionale) sono della casa ceca Jawa, anche se si sta affacciando anche il colosso austriaco KTM. Sono alimentati a metanolo, la cilindrata è solitamente 450/500 cc, il telaio è rigido e ha degli strani parafanghi che coprono quasi completamente le ruote. In sostanza sono delle armi letali motorizzate. A differenza dello speedway tradizionale, qui non si derapa. Le gomme chiodate, infatti, garantiscono un grip mostruoso e per curvare si cerca di piegare il più possibile la moto, che va quasi a toccare il suolo con il manubrio. Di contro, le ruote chiodate sono dei veri tritacarne che ad ogni curva rischiano di ridurre in poltiglia gli arti dei piloti. I parafanghi pronunciati servono, appunto, a proteggere i piloti stessi in caso di caduta e ad evitare che i chiodi (lunghi ben 3 cm) decidano di staccarsi dalle ruote diventando micidiali proiettili d’acciaio sparati ad altezza uomo.

Per darvi un’idea della pericolosità di questo sport, basti pensare che lo scorso anno, durante la seconda gara del campionato mondiale a Togliatti, due piloti sono finiti in terapia intensiva. Ad uno hanno amputato mezzo piede dopo che gli era rimasto sotto una ruota, mentre all’altro è andata peggio: la ruota gli ha reciso un’arteria provocando una massiva emorragia con conseguente arresto cardiaco e coma. Roba da stomaci duri, insomma.

Le gare del campionato si tengono in amene località dell’est e del nord Europa, con qualche puntata in Austria, Olanda e Germania. Località famose solo per le temperature glaciali che farebbero cadere i gioielli di famiglia anche ad un orso polare. Posti esotici come Riga, la capitale della Lettonia (che i più conosceranno per quell’altra parola che finisce allo stesso modo), Togliatti appunto (così chiamata in onore del famoso politico italiano), l’impronunciabile Örnsköldsvik in Svezia o Inzell in Germania, che non ho la minima idea del perché possano essere famose, a dire il vero, tranne il freddo becco e la vodka, magari. Insomma, sicuramente posti dove non portereste la moglie in vacanza a meno che non culliate segretamente l’idea di dimenticarla poi lì…

Inutile dire che a livello di vittorie la parte del leone l’hanno fatta l’Unione Sovietica prima e la Russia poi, cannibalizzando il campionato per decine di anni (38 vittorie su 42 Trofei delle Nazioni) con 18 anni di dominio, interrotto solo dalla decisione della FIM di escludere i piloti Russi dal mondiale dopo la crisi Ucraina.

Ma chi sono i Gladiatori? Sono meccanici, idraulici, operai, impiegati, gente normale insomma (ok, sul normale soprassediamo) che nei weekend si mettono l’armatura, il casco e inforcano queste sottospecie di missili ingovernabili per girare sul ghiaccio rischiando l’osso del collo in cerca di gloria.

Poi ci sono ovviamente anche i Pro Rider, quelli che vivono di questo (la maggior parte sponsorizzati da Redbull, ça va sans dire) anche se ovviamente gli stipendi non sono minimamente paragonabili ai colleghi di altre discipline motoristiche.  Tra i Pro, i più famosi senz’ombra di dubbio sono i russi Nikita “Master” Bogdanov e Daniil Ivanov, alfieri Redbull che si sono spartiti una decina di mondiali. Sempre in casa Redbull non si può non menzionare il carismatico pilota austriaco Franky Zorn, 52 anni e ancora sul pezzo. Un po’ il Randi Mamola del circuit per simpatia e velocità, una vera rockstar del ghiaccio. E c’è anche un pizzico di italianità rappresentata dal tedesco Luca Bauer, figlio della leggenda bavarese Gunther, che però corre con licenza italiana per il MC Olimpia di Terenzano.

Daniil Ivanov, tra l’altro, è anche protagonista di uno stupendo video girato sul lago Baykal. Andate a cercarvi Circle of Shaman su Youtube: vedrete il pilota russo sfrecciare sul famoso lago ghiacciato, il più antico e famoso del mondo, mentre Valentin Hagdayev, un celebre sciamano siberiano, invoca gli spiriti degli antenati sperando che il ghiaccio del lago non crepi e li inghiotta entrambi.

Mi fermo qua, altrimenti la cosa mi sfugge di mano come al solito.

Intanto mi verso 2 dita di Russian Standard (senza ghiaccio, che per oggi ne abbiamo visto abbastanza) e continuo ad avvitare i chiodi alle ruote.

Stay Wheelerz

Photo credits: SIPA/REX/Shutterstock, FIM Ice Speedway Gladiators World Championship