Ho pensato più volte a quale potesse diventare il mix musicale perfetto per i miei primi dannatissimi quasi 47 anni. E se la cura fosse davvero farsi un giro nel wild side? Tra i tanti in playlist, ci sarebbero sicuramente i Rolling Stones di Wild Horses, Youth gone wild degli Skid Row, quelli di quando Sebastian Bach si buttava su un tizio del pubblico per prenderlo a calci. Ma anche Wild Thing di Jimi Hendrix, magari suonata in quell’infuocato live a Monterey. Wild Flower dei The Cult l’ho avuta per anni come suoneria della sveglia. Ascoltavo ancora con gli occhi chiusi la chitarra di Billy Duff, la voce di Ian Astbury e mi ricordavo del pazzo, pazzo mondo che era lì fuori ad aspettarmi, risvegliato dall’alba.

Wilde side, come il lato impegnato dell’essere selvaggio, quello di Walk On The Wild Side di Lou Reed, oppure quello completamente fuori di testa dei Mötley Crüe e della loro idea di Wild Side: lo stesso lato in cui mettere il naso, per due pezzi e due generi lontani anni luce l’uno dall’altro. O forse no. Il selvaggio non ha una collocazione precisa. Puoi suonarlo e cantarlo come un vecchio blues che arriva dal profondo delta del Mississipi, come una ballata oscura newyorkese o come uno sguaiato inno all’eccesso sul Sunset Strip di Los Angeles, ma degli anni Ottanta. Selvaggio è sempre selvaggio.

Wild, nel senso del rock’n’roll, significa libero. Libero di andare dove ti pare, di pensare quello che ti pare e di viverla un po’ come ti pare: una notte di passione, una giornata o l’intera vita, che ti dica bene o che ti dica male. A molti selvaggi del rock è andata bene, ad altri è andata male. Cosa c’è di più selvaggio di un riff di chitarra, di una voce tagliente e graffiata che ti grida nelle orecchie tutto quello che i tuoi genitori avrebbero voluto che tu non sentissi (o almeno non subito e non tutto insieme) quando ancora vivevate sotto lo stesso tetto e i soldi per comprarti i dischi dei Saxon li chiedevi a loro?

Like a true nature’s child, We were born, born to be wild, We can climb so high, I never wanna die. Born to be wild, Born to be wild“. E forse questo il primo inno all’essere selvaggio nel mondo della musica ad essersi imposto quasi come le parole di un testo sacro, e sacrilego. Gli Steppenwolf, ma soprattutto Dennis Hopper, Peter Fonda e Jack Nicholson sulle strade d’America in Easy Rider. Selvaggi, selvatici, contro tutto e diversi da tutti.

Wild è senza regole scritte e inderogabili, incise nella pietra o marchiate a fuoco. Steven Tyler, che è uno che dell’essere wild la sa lunga, cantava “I love you ‘couse your deuces are wild”. Io l’ho sempre interpretata come in quei giochi di carte dove ad un certo punto il due può rappresentare qualsiasi altra carta il suo titolare desideri. Oppure come con i dadi in quel romanzo di Luke Rhinehart, dove il protagonista affidava ogni, ma proprio ogni decisione, ad un buon lancio. Forse invece è probabile che il buon Steven volesse alludere a qualcosa di decisamente più carnale e di libero, sotto una t-shirt di una delle tante amanti. Si sa, che la voce degli Aerosmith ha sempre avuto la sua bella fissa sull’argomento. E anche questo è wild.

La playlist, dicevamo. Che ai quasi dannatissimi 47 anni ci siate già o meno, eccola per voi. I cavalli furiosi, i selvaggi del rock, sono tutti qui.