Dici pop e a me, istintivamente, si aggrotta la fronte. Il sopracciglio sinistro si inarca e la mia smorfia parla da sola: “Strameledizione al pop, ci risiamo”. Perché già lo so che in linea di massima mi parlerai di canzonette, del disco dell’estate e della starlette di turno che dopo il secondo divorzio dall’eccentrico produttore musicale ha deciso di rivangare la gloriosa carriera vissuta a suon di pop negli anni Novanta.
E invece no. Mi stupisci e mi stravolgi. Chiunque tu sia, sono in ascolto. Mi parli di skiffle, beat, rock, glam, punk, ska, britpop, rave o drum ‘n’ bass. Ok, hai la mia attenzione. Questo è tutto l’universo del Pop, abbreviazione di popolare, del popolo, che per me equivale un po’ a dire “nato nei pub dopo il lavoro in qualunque fabbrica di Manchester”. Geolocalizzazione: Regno Unito, la Gran Bretagna che c’era una volta e che non c’è più. Il pop sexy, il pop disincantato, il pop incazzato e il pop narcisista e che prende il posto del punk. Nasce tutto lì. Il giardino di Sua Maestà è la nazione del pop.

Raccontami dei Pulp di Sheffield, mia narratrice dell’epopea pop, del lungo percorso sottotraccia della band di Jarvis Cocker, degli anni Ottanta e della sua inaspettata e quasi accidentale ascesa nell’era del brit-pop. Parlami degli occhialoni di Jarvis, dei suoi completi dandy fuori moda-fuori tempo e del piglio vezzoso che se ne frega un po’ di tutto quello che gli sta attorno.
Pop è anche quello degli Smiths, quelli delle tue magliette usate e riusate, quelli che, mi dicevi, ascoltavi nella tua transizione verso l’epoca dark e che debuttavano nell’ottobre del 1982 al Ritz di Manchester. Il pop di protesta nel periodo storico di Margaret Thatcher e della rabbia punk (quella vera) ormai esaurita. Da una parte c’è la dark wave (Bauhaus e The Cure) e dall’altra il pop più glamour dei Duran Duran e soci. Nel mezzo, amici e nemici degli Smiths.
“Dai fuoco alla discoteca, impicca il dj perché la musica che suona costantemente non mi dice niente della mia vita”.
Quando ti ho conosciuta, in soggiorno, sopra a quel divano (aperto) dove passavamo le ore sempre con poco addosso, avevi anche un poster tutto colorato con quattro ragazzi tipicamente londinesi. Erano Damon Albarn, Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree. Gente dell’Essex conosciutisi al Goldsmiths’ College di Londra. Li avevi amati agli esordi folgoranti con She’s so high e There’s no other way. Influenze dai Kinks agli Who, da Bowie passando per i Beatles. Dimmi se non era un grande e rivoluzionario circo.
Prima di vendere quel divano, mi avevi detto di essere in fissa con gli Suede e che Brett Anderson era il frontman pop più dannatamente rock della storia. Io li ho rivisti solo una quindicina di anni dopo averti persa di vista perché mi avevi detto che il pop americano era meglio. Era una sera di autunno londinese alla Brixton Academy. L’ingresso sulle note di Animal Nitrate me lo ricordo ancora adesso. Una bomba. Brett era ancora un dannato leone in gabbia. La gabbia rabbiosa del pop.
Se ricompri quel divano, sai dove trovarmi.
