“Ti monterò il motore più in basso possibile, e avrai la coppa dell’olio disegnata dal vento, sì… Questo ti darà parecchi cavalli in più. Ti costruirò un serbatoio che conterrà un gallone in più di benzina, ti abbasserò di mezzo pollice e ti darò la forma di un proiettile. E quando ti avremo dipinta ti faremo il pieno, e sarai pronta a scendere in pista… Capito? Sarai perfetta”.

Sono le parole con cui il caposcuderia Harry Hogge si rivolge all’auto che, di lì a breve, debutterà sull’ovale guidata da Cole Trickle-Tom Cruise in Days of Thunder. È il 1990, Top Gun ha appena lanciato Tom nell’iperspazio delle superstar hollywoodiane che tutto possono fare. E lui decide di puntare dritto su una pellicola dedicata proprio alla NASCAR. Tra l’altro fa benissimo, perché diventa il suo secondo successo planetario e di quel film ne parleranno tutti, addetti ai lavori e non, in tutto il mondo, per anni e fino ad oggi.

Per godervi per bene questa storia, vi consiglio di mettervi comodi e far partire la playlist qui sotto.

“Ma lo sapete che regolarmente, ogni volta che sono in circuito, qualcuno cita una battuta di Giorni di Tuono? È un classico. Tutti i piloti, i meccanici, chiunque nella vita abbia messo piede almeno una volta in pista, lo conosce. Credo sia stato esattamente quel film a far innamorare del lavoro che facciamo quelli della mia generazione”. A parlarci è Roberto Muriglio, pilota professionista con un talento naturale per la meccanica. Dettaglio che potrebbe essere trascurabile parlando della sua carriera, ma che diventa essenziale per parlare di LEI.

Perché se a un certo punto della sua vita Roberto ha deciso di comprare LEI, ovvero una NASCAR, portarla in Italia e renderla un oggetto del desiderio per chiunque la veda (e la senta) passare per strada, molto è dipeso dalla sua attitudine alla modifica.

Veniamo alla storia. È il 22 febbraio del 2015 e Robi è in America. Qualunque appassionato di motori che si rechi oltreoceano in questo periodo sa di avere una tappa fissa imprescindibile, che si chiama Daytona Beach. Il motivo lo sapete: la Daytona 500 che si tiene qui è l’evento di apertura della stagione NASCAR, il campionato più seguito in assoluto dal pubblico americano. Il perché, oscilla tra adrenalina e voyeurismo: adrenalina perché veder correre quelle bestie lì tutte asimmetriche con motori da 740/760 cavalli che spingono e urlano come Erinni indiavolate è la quint’essenza dell’esaltazione (pare che lo spostamento d’aria alla partenza sia un momento assurdo e assolutamente epico). Voyeurismo perché, anche se non si dice apertamente, buona parte dei circa 200.000 appassionati che accorrono qui ogni anno si aspetta i fuochi d’artificio del “Big One”, l’incidente grosso, quello che fa male davvero.

“Io quasi non ci credevo di essere lì” ci racconta Robi. “E a distanza di anni mi esalto ogni volta che ci penso. Tutto quello che è successo dopo, in fondo, ha origine proprio da quel muro d’aria e rumore assordante che ti arriva addosso in un millisecondo”. 

Insomma, quello che succede dopo Daytona è che il nostro eroe si mette in testa di comprare una NASCAR da un team ufficiale, reimmatricolarla in Europa e portarla in Italia. E lo fa. Quella che oggi brilla nell’officina-boutique di Roberto, di base è una Ford Taurus del 1999 con un motore 5.9 a carburatori e cambio manuale a 4 marce che ha corso diverse gare sugli ovali americani.

 

“L’ho presa perché è scattata una di quelle scintille stile Tom Cruise che si innamora di Nicole Kidman, tanto per restare in tema. E avevo in mente di metterci le mani, modificarla il minimo indispensabile per poterla guidare su strada e poi portarla in UK al Modball 3000, un evento pazzesco a tappe. 3.000 miglia in una settimana, tra le auto più incredibili del globo. Volevo partecipare con qualcosa che non esiste in commercio, un mezzo assurdo. Com’è andata? Diciamo all’italiana: tra ritardi alle dogane e tempi di immatricolazione biblici l’auto è arrivata in officina una settimana prima dell’evento. Adios! Il punto è che ormai ne ero già follemente innamorato e comunque non è stata una fatica vana. Nel frattempo ho imparato cosa significhi costruire un prototipo per registrarlo…”.

Le NASCAR sono bestioline parecchio strane, un po’ come tutte le auto che corrono sugli ovali. Nascono per girare in tondo e sono costruite di conseguenza: potentissime, storte (abbiamo già accennato al telaio asimmetrico, no?) e gommate in un modo tutto loro. La campanatura è positiva all’interno e negativa all’esterno. Le Good Year montate su cerchi piccoli da 15” sono gomme molto alte che devono aiutare le sospensioni, queste ultime completamente regolabili. Sono opere di ingegneria grezze, pesanti, concentrati di ferro e cattiveria alimentati a etanolo. Negli anni, si è reso addirittura necessario ridurre l’aspirazione per limitarne la potenza: andavano troppo forte, con conseguenze disastrose in caso di incidente.

“Sai qual è una delle tante ragioni per cui adoro le NASCAR? Perché non hanno portiere, si entra solo dal finestrino. È un gesto potente, dinamico. La mia era monoposto, come tutte le altre, ma è uno dei dettagli che ho modificato. Pensando di usarla su strada, ora di posti ne ha due. Per il resto è quanto più originale possibile: carrozzeria, interni e strumentazione non sono stati toccati, ad eccezione di un indicatore di velocità con fondoscala a 400 km/h e della spia benzina, obbligatori per legge. Lo sai che quelle che corrono non hanno né contachilometri né l’indicatore del livello di carburante? Vanno a minuti e della velocità se ne fregano… Altro adeguamento riguarda gli specchietti. Le NASCAR non li hanno esterni, ovviamente. Si affidano a un lungo specchio centrale interno all’abitacolo. Per non alterare la linea dell’auto aggiungendo gli specchi ho montato due minicam con altrettanti monitor affiancati al retrovisore”.

L’aspetto più pazzesco delle NASCAR di quel periodo? Sono, in fin dei conti, auto quasi completamente artigianali, costruite e ricostruite pressoché da zero ogni due o tre gare con lamieroni di ferro, a colpi di botte da 250.000 dollari alla volta. Erano praticamente one shot, salvo alcuni (pochi) pezzi riciclati che passavano di auto in auto. Negli ultimi anni è cambiato anche questo aspetto, per certi versi romantico. Oggi le NASCAR, pur mantenendo un altissimo grado di artigianalità, vengono concepite più come basi fisse con pezzi intercambiabili, complice anche la maggior varietà di tipologie di circuiti che si trovano ad affrontare durante il campionato. Cambiano i tempi, le esigenze di spettacolo e le auto di conseguenza.

“Se c’è una cosa che non cambierà mai, però, è la frase che mi viene in mente ogni santa volta che salto nella NASCAR: fammi girare, non ti deluderò. La diceva Cole Trickle a Harry Hogge nel film. E la ripeto io a me stesso, sorridendo”.