Il background culturale di noi maschietti nati nei settanta arriva soprattutto dai fumetti. Tutto nasce con Topolino, seguito dal mitico Tex Willer. Poi Zagor, Dylan Dog e compagnia danzante. Ammetto che anche Milo Manara ha avuto un ruolo rilevante nella mia “formazione” giovanile e nelle passioni che ho successivamente sviluppato, ma non siamo qui per questo. Aspetta, non mi ricordo più perché ho iniziato ‘sto pippone sui fumetti.
Ah sì, ora ricordo. Tra i vari fumetti che tenevo d’occhio all’epoca ce n’era uno in particolare che mi incuriosiva, forse perché il protagonista guidava una moto, che già all’epoca stava diventando un tarlo nel mio cervello di 14enne. Il fumetto in questione era Ghost Rider, ennesimo personaggio partorito da quei geniacci della Marvel. Il supereroe di turno, stavolta, era uno stuntman con una tutina nera attillata molto BDSM e una maschera da teschio infuocata, che prendeva a calci in culo i villains della situazione cavalcando un chopper che lasciava una scia di fuoco. Nel tempo il fumetto mi stancò perché dalle scie di fuoco gli autori passarono alla moto infuocata, poi da un chopper passarono ad un catafalco con un parabrezza ignobile, poi cambiarono il protagonista. Insomma, me lo fecero andare di traverso.

Qualche anno fa però il buon vecchio Ghost Rider mi si è ripresentato al cinema, interpretato da un tutt’altro che indimenticabile Nicholas Cage (che se non avesse fatto quel capolavoro di Via da Las Vegas probabilmente farebbe il venditore porta a porta della Folletto) in un cinedisastro che solo gli americani possono concepire, quando si impegnano. Purtroppo, visto che non c’è fine al peggio, ci hanno pure deliziato con un sequel addirittura peggiore del primo film.
Ma perché vi sto triturando le parti basse con tutto ‘sto preambolo di fumetti e B-movie? Perché sia nel fumetto che nel film la vera protagonista è la moto.
E io oggi vi voglio parlare proprio delle moto più famose del cinema. O meglio, sempre fedele alla mia celeberrima diplomazia, delle moto che sono piaciute di più a me. E visto che penso pure alla vostra cultura, voglio consigliarvi pure qualche bel film, che il meteo concilia, di questi tempi. Ora buttatevi in poltrona, stappate una buona birra, mettete su un bel disco e leggetevi la storia di oggi. Come dite? Vi aspettavate le Harley di Easy Rider, la Ninja di Top Gun eccetera eccetera? Mi dispiace per voi, ma oggi invece lo facciamo più strano.
Il binomio moto/cinema ha vissuto diverse fasi negli anni. All’inizio rappresentava l’immagine di libertà, di ribellione, aveva quel non so che di epico, di poetico. Poi con il passare degli anni le moto nei film erano i mezzi d’elezione usati per fughe e inseguimenti, per arrivare ai tempi nostri dove le moto sono diventate perfetti strumenti da action movie, spettacolarizzate, pimpate e guidate dai protagonisti con evoluzioni ben oltre i limiti della fisica. Quindi niente salti all’indietro oggi, voliamo direttamente agli anni 2000.

Inizio subito con il botto. Il film è un remake di un cult degli Anni 80 (1979 per la precisione), quel Mad Max con un giovanissimo e imberbe Mel Gibson e l’indimenticabile Tina Turner. Nel 2015 esce Mad Max: Fury Road e il protagonista è un ispiratissimo e disadattatissimo Tom Hardy (lo vedo come vi brillano gli occhi signorine, contenetevi su) degnamente spalleggiato da quella Dea di Charlize Theron. La ricetta del regista George Miller è sempre la stessa, scenari apocalittici, trucide uccisioni, colonna sonora strepitosa, i cattivi che più cattivi e barbari di così non potevano essere, e una pletora di mezzi post-apocalittici usciti direttamente dalla fantasia deviata di un ingegnere in pieno trip da LSD. Elencarli tutti è impossibile, vi cito solo la moto del protagonista. Un’incredibile Yamaha R1 resa irriconoscibile da ruote tassellate, forcellone da dragster e una serie di coperte e tappeti che la fanno sembrare il cammello di un beduino. Il film è ben girato, emozionante, splatter il giusto e lascia quella strisciante sensazione di ansia e paranoia tipica dei film di Miller.

Lasciamo per un attimo il deserto australiano e trasferiamoci in Europa, più precisamente nella perfida Albione, terra natia di quel gran figo di James Bond. L’immagine del nostro 007 è indissolubilmente associata ad auto sportive, di classe, in particolare alle Aston Martin DB5, DB7 e così via. Ma quando, dall’aplomb compassato e raffinato di Pierce Brosnan siamo passati al collo taurino e allo sguardo gelido di Daniel Craig, abbiamo visto il super agente segreto di Sua Maestà cimentarsi con le 2 ruote con piglio più racing.

Nei vari episodi della saga abbiamo ammirato una lista eterogenea di moto: BSA, Kawasaki Z900, Yamaha XT 500, Montesa, perfino la Cagiva T4 ex Dotazione dell’Esercito italiano. Ma è dal 2019 che la produzione ha giustamente pensato di legare il leggendario nome 007 al brand motociclistico più inglese che c’è, ossia Triumph. E come faccio a non citarvi la favolosa Triumph Scrambler 1200 XE Bond Edition guidata come fosse un due tempi da enduro tra i magici vicoli della nostra Matera in No Time To Die? A dirla tutta, nelle scene più “enduristiche” la moto era effettivamente un’enduro 450 camuffata da Triumph e pilotata da quel gran manico pluricampione mondiale di Paul “Fast Eddy” Edmonson, che faceva la controfigura della controfigura. Ah, la Triumph Scrambler 1200 Bond Edition ve la potevate anche comprare: era un’edizione limitata di 250 esemplari in nero con finiture dorate dipinte a mano, dotata di una targhetta numerata e veniva consegnata con un certificato di autenticità autografato da Nick Bloor in persona, CEO di Triumph. Ovviamente è andata subito sold out.
Del film c’è poco da dire: azione, inseguimenti, auto (e moto) da sogno, ironia inglese e bellissime donne la fanno da padrone, come in ogni 007 che si rispetti.

Dall’eleganza inglese passiamo ad un po’ di sana ignoranza a stelle e strisce. Adrenalina a palla, esplosioni, salti e trick da freestyler. Qui è difficile scegliere, ma mi permetto di consigliarvi il remake di Point Break. L’originale, autentica pietra miliare del cinema action datato 1991 (e girato da una delle mie registe preferite, quella Kathryn Bigelow che ha diretto capolavori quali The Hurtlocker e Zero Dark Thirty tra gli altri) e interpretato da Keanu Reeves e Patrick Swayze, con un cameo di Anthony Kiedis dei RHCP.

Il sequel, per essere magnanimi, non è decisamente al livello del primo film, ma merita di essere visto per le pazzesche riprese di sport estremi, tra i quali snowboard, basejumping, skydiving e motocross appunto, girate tra l’altro anche sulle nostre splendide Dolomiti tra Cortina, Le Tofane e i passi Falzarego e Lagazuoi.
Tra l’altro scene girate grazie alla maestria di Steve Haughelstine, che prima di essere un grande direttore e specialista di immagini e video estremi, è anche un funambolo nel cross. Le moto utilizzate erano quanto di meglio offriva il mercato del motocross e motard nel 2015 e vanno menzionate le 3 KTM Supermotard usate per il salto nel vuoto dopo la rapina e nell’inseguimento con la polizia, oltre alla splendida Yamaha YZF450 in livrea blu/bianco utilizzata nelle scene iniziali nello Utah.
Visto che lo abbiamo menzionato qualche riga sopra direi che è il momento di parlare di Keanu Reeves. Preambolo: il nostro Keanu è uno vero, uno che in moto ci sa andare e pure forte, ed è talmente appassionato da crearsi un brand tutto suo, Arch Motorcycle, che produce delle incredibili (e costosissime) naked artigianali nella sua factory in California.
In quasi tutti i film di Keanu sono presenti le nostre amate 2 ruote, basti pensare alla italianissima Ducati 998 utilizzata in Matrix. E a proposito di italiane, nel 4° capitolo di John Wick, nella scena del frenetico inseguimento in moto, che mezzi potevano guidare gli attori? Ovviamente delle moto italiane e precisamente delle fiammanti Aprilia Tuono RS 660 fresche di lancio sul mercato. Il film ricalca la trama dei 3 chapter precedenti (e del successivo) e narra le vicende dell’assassino prezzolato John Wick, sempre elegantissimo nei suoi completi tailor made in fibra di kevlar, esperto di armi e arti marziali. Un moderno e disincantato supereroe che ammazza schiere di cattivoni con classe, ironia e senso dell’onore. La frase cult della serie, che descrive alla perfezione il nostro eroe, è “John non era l’uomo nero… era quello che mandavi ad uccidere il fottuto uomo nero”.

In realtà c’è anche un altro pezzo da novanta di Hollywood che si destreggia bene con un manubrio in mano. Ve lo ricorderete sfrecciare sulla Kawasaki GPZ900 R Ninja rigorosamente senza casco, con giubbotto di pelle Avirex e Ray-Ban Aviator. Ma Tom Cruise è celebre anche per interpretare sul grande schermo Ethan Hunt, l’agente speciale mago dei travestimenti di Mission Impossible. Qui ci sarebbe da scrivere un capitolo a parte, ho perso il conto di quanti ne sono stati girati e soprattutto di quante moto ha guidato Ethan. Tom sicuramente non fa distinzioni quando deve scegliere delle belle moto. Ricordo una Triumph Speed Triple 955, una Scrambler e una Thruxton sempre della casa di Hinckley, diverse BMW tra le quali una NineT, una GS700 e pure una S1000RR con la quale insegue quel gran bel pezzo di figliola di Rebecca Ferguson (e graziealC@$$o direte voi, chi non la inseguirebbe?).
È anche celebre per guidare personalmente le moto: se volete le prove andate a beccarvi il dietro le quinte del salto che fa Ethan nell’ultimo Mission Impossible 7: Dead Reckoning. Il protagonista vola da un dirupo per poi lasciare la moto ed aprire il paracadute. Nessuna controfigura, il pazzo sulla Honda CRF450 era proprio lui. Si narra che per prepararsi alla scena e per imparare la tecnica di guida in motocross si sia fatto costruire una pista dove ha girato per mese e ha effettuato qualcosa come 13.000 salti!

Ultimo consiglio, se proprio volete, e vale anche per 007 e John Wick, guardatevi i film della saga dal primo all’ultimo, così da avere il quadro completo della storia. Un po’ di cinema blockbuster senza impegno ci vuole ogni tanto, dai. Ovviamente dopo esservi presi un intero weekend libero e aver fatto scorta di casse di birra e junk food.
Comunque, è arrivato l’autunno, fuori piove. Direi che è il caso di infilare casco e stivali, accendere l’Husky e andare ad infangarci un po’, che a forza di scrivere di moto mi prudono le mani.