Alzarsi una mattina e mettere tutte le altre auto dietro al Mugello, out-of-the-blue. Arrivandoci per caso, senza essere passata direttamente dal seggiolone ai go-kart o senza aver speso gli anni spensierati della fanciullezza tra motorhome, box e muretti a seguire qualcun altro. Se il cliché del motorsport vuole che tutti i grandi “manici” nascano da un vissuto come quello di Lewis Hamilton o di Mick Schumacher, ci sono per fortuna anche vocazioni tardive e totalmente casuali che danno vita a carriere di successo, come quella di Michela Cerruti. Una storia, quella della pilota, team principal e top manager dell’atelier milanese delle preparazioni auto Romeo Ferraris, che nasce da tante sbirciatine, non solo sue.

Michela, una psicologa velocissima. Sentirsi raccontare la storia di Michela Cerruti prima di conoscerla di persona può suscitare sentimenti discordanti. Ci metti un po’ infatti a convincerti di come sia possibile collezionare vittorie e primati e andare più forte di tanti altri che ci provano da quando portavano i pantaloni corti mentre lei ci è arrivata dopo la patente B, solo perché le piaceva stare in macchina. Se te lo racconta lei in presa diretta. E ti conquista subito però, perché l’entusiasmo per i motori, la sua voce squillante e la naturalezza con cui te ne parla ti portano subito in quel mondo lì; Campionato Italiano Turismo Endurance, International Superstars Series, Campionato Italiano GT: solo un piccolo estratto del suo palmares. È l’unica donna ad aver ottenuto finora una vittoria in ogni categoria in cui ha corso (Turismo, Gran Turismo e Formula) e ha gareggiato anche agli albori della Formula E, trovando persino il tempo per commentare il motorsport su Sky e raccontare auto da strada e da corsa per la carta stampata. Sempre competitiva, Michela ha vinto tanto e ora fa vincere gli altri come team principal della squadra Romeo Ferraris che gareggia nel nuovissimo campionato full-electric ETCR della FIA. Se non la trovate nel paddock è probabilmente al quartier generale di Opera a occuparsi anche delle altre attività della casa, uno dei preparatori/costruttori più eclettici e trasversali d’Europa. Oltre alle attività in pista ci sono infatti le vetture stradali a marchio proprio – elaborazioni iper-vitaminizzate derivate dalle Abarth 500 – le preparazioni aftermarket di auto stradali, l’attività di importatore e/o concessionario per i marchi Morgan e Caterham e l’assistenza ufficiale di alcune case.

Un palmares invidiabile, unica donna ad aver vinto una gara in tutte le categorie in cui ha corso.
Nel solco di papà Aldo, senza incoraggiamenti. Che la velocità sia un equipaggiamento di serie nel DNA della famiglia Cerruti è cosa nota. Il patriarca Aldo metteva a ferro e fuoco le piste con le Giulia GTA negli anni Sessanta e Settanta; era il periodo romantico in cui si correva sotto pseudonimi che venivano dipinti a mano libera sulle fiancate delle vetture, col pennellino belle-arti. Non è la stagione di Michela, però. Lei nasce molto dopo, quando “Baronio” aveva già appeso il casco al chiodo e si era concentrato nel far crescere AB Medica, un business che nulla aveva a che fare con le auto. Sfogando il piede pesante – come tutti, altri tempi – su strada. E qui ci sono le prime sbirciatine, quelle di Michela ai punta-tacco di Baronio con la M3 E46 di tutti i giorni.
Guarda oggi, guarda domani, la ragazza che fa tanto sport e studia psicologia si innamora delle macchine e vince la sua prima “gara”. Un Milano-Roma con una Alfa Romeo 147, in cui migliora il record casello-casello del padre proprio al volante della M3. Preoccupato ma compiaciuto dal buon sangue che non mente, Baronio spedisce la figlia a un corso di guida sportiva con Mario Ferraris, che oltre a correre già lavora nell’impresa della sua famiglia: Romeo Ferraris, il tempio milanese delle preparazioni per le auto sportive. Da quel momento si aprono per Michela i cancelli della pista, e il resto è storia. Una passione fortissima che porta a un contagio al contrario: nel 2008 i risultati della figlia risvegliano l’agonismo sopito di Aldo Cerruti, che rimette la tuta e porta a casa il Campionato Italiano GT con una Ferrari F430 co-condotta proprio con Mario Ferraris.

Il legame con la Romeo Ferraris. Ma torniamo ad altre sbirciatine. A quelle di papà Aldo per l’esattezza, che sono le stesse di tutti noi motoristi nostalgici ante-smartphone. Quelle date nelle officine, da cliente, ai motori aperti sui banchi da lavoro o ai sottoscocca delle auto messe sul ponte. Occhiate rubate, magari al sabato mattina, con la scusa di fare conversazione col padrone di bottega. Noi comuni mortali cerchiamo così di farci togliere qualcosa dal conto del tagliando. Baronio (oltre a farsi preparare le auto della flotta di famiglia) si interessa invece all’attività al punto di investire nel 2008 proprio nella Romeo Ferraris s.r.l., per avviare un percorso di rafforzamento organizzativo che ha permesso di puntellare le competenze tecniche del preparatore milanese – oggi tramandate dal figlio Mario e da un team di ricerca e sviluppo di prim’ordine –. Sessant’anni di talento meccanico e curiosità, spaziando dalle auto da corsa (leggendarie le BMW e Abarth elaborate o il motore “Millino” per le sport-prototipo) alle barche da off-shore (che hanno persino vinto dei titoli mondiali) e agli orologi.
A capo di un gruppo di ostinati, in lotta con le grandi case. C’è solo una cosa che a Michela Cerruti – e a chi lavora con lei – proprio non riesce: tirare su il piede dal gas, tanto in pista quanto in ufficio. Così come Mario Ferraris tiene alta l’asticella tecnica e si fa custode dello spirito curioso e geniale del fondatore, lei non molla un metro quando si tratta di gestire i tanti progetti dell’atelier e di tirare fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro. È l’attitudine che permette al team di correre con successo con la Giulia tutta elettrica come unica squadra indipendente nel FIA ETCR (Hyundai e Cupra hanno i propri factory team) o di avere più di 30 Giulietta TCR di squadre clienti sparse per il mondo. Il tutto mentre a Opera qualcuno si sta occupando della rimappatura di una M4 CSL, di costruire una FatFive per un cliente del Middle East (tranquilli, l’elettrificazione qui non è nell’agenda) o di svecchiare in Italia l’immagine di un marchio come Morgan. È pazzesco quanto una sbirciatina, certe volte, ti possa portare lontano.