“London’s burning! London’s burning! All across the town, all across the night. Everybody’s drivin’ with full headlight”. Cantava Joe Strummer con suoi Clash, quel fuoco che brucia, agita le anime e i cuori. Ecco, si, dovessi descrivere l’effetto del fuoco, lo immaginerei come un qualcosa che scuote, agita. Incenerisce, spesso, per poi prodigiosamente lasciare spazio a qualcosa di nuovo. London’s burning e mentre Londra brucia è successo anche che The Queen is dead (ma questi erano gli Smiths e la storia è un’altra).
Fuoco di rivolta. Fuoco di redenzione. Fuoco di punizione. Fuoco di rinascita.

Simbolo catartico della mitologia musicale, il fuoco: quello della chitarra di Jimi Hendrix data alle fiamme sul palco, oppure quello feroce di una bomba. La bomba delle bombe, con il suo fuoco di distruzione indimenticabile. The Unforgettable Fire, dal titolo di una mostra fotografica dedicata all’atomica, che Bono Vox trasforma in una canzone d’amore e dintorni. Correva l’anno 1984 e anche gli U2 avevano il loro “fire”.

Elemento di potenza, il fuoco. Destabilizzante per natura e rivoluzionario. Nel 1997 i Prodigy gridavano di rabbia nel microfono la loro Firestarter, forse uno dei pezzi degli ultimi vent’anni che più rendono l’idea dell’infiammabilità: che si tratti di un dancefloor, di un cuore o di un cervello. Keith Flint (rest in peace) era la rabbia furiosa senza freni, una sorta di fiamma ossidrica pronta ad incendiare qualunque cosa incontrasse. Il fuoco è musica, il fuoco è poesia e il fuoco è sesso. Chiedetelo un po’ a Leonard Cohen a cosa stava pensando mentre scriveva Who by fire. Provate ad ascoltarla voi Baby, I’m on Fire di Nick Cave e dei suoi The Bad Seeds, oppure Sex on fire, per dichiarare le vostre intenzioni e passioni. Come inni alla libertà, incitazione alla felicità.
Lo ha cantato anche Springsteen in tante salse differenti, lo hanno detto Johnny Cash e più di recente Sia. Persino quel bravo ragazzo di Ed Sheeran ha avuto la sua dose di “fire”. Adele qualche tempo fa cantava qualcosa che potremmo tradurre in “ho dato fuoco alla pioggia”. Già, l’acqua che spegne il fuoco. Ma siamo proprio proprio sicuri che lo spenga sempre? O piuttosto lo mette in pausa, lo sposta, lo devia. A me piace pensare che il fuoco sia un po’ ovunque. Non importa dove e non importa quando o quanto. Lui aspetta, studia, pazienta e quando meno te lo aspetti salta fuori da qualche parte.

Sopra un palco, sopra un letto, sopra una moto sferragliante e urlante. Il rock’n’roll, diciamocelo, spesso aiuta a fargli perdere di timidezza e a farlo esplodere. A volte capita anche che le cose si mettano male quando si parla di fuoco. Ne sanno qualcosa i Red Hot Chili Peppers, presi troppo alla lettera dal pubblico di Woodstock ‘99 che ad un certo punto cominciò ad incendiare tutto. Ma si sa, il fuoco è il fuoco: brucia.